Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Arturo Cirillo: «Perché ho scelto ancora Molière»

Fonte: L'Unione Sarda
5 marzo 2014


CAGLIARI. Da oggi al Massimo
 

C i sono commedie a cui non si può sfuggire: “L'Avaro” di Molière è una di queste. La pièce approda questa sera alle 20.30 al Massimo di Cagliari per il Cedac, dove rimarrà in programma fino a domenica. «È un testo senza tempo», spiega l'attore e regista Arturo Cirillo. «Per metterlo in scena, siamo ricorsi all'ottima traduzione di Cesare Garboli, in passato utilizzata da Gabriele Lavia. Traduzione che ha una marcia in più rispetto alle altre, utilizzando, per esempio, un linguaggio attuale. “L'Avaro” è uno dei pochi testi non in versi di Molière».
Che genere di messinscena sarà?
«Non aspettatevi niente di filologico. Certo, ci rifacciamo al periodo in cui la commedia è stata scritta, il 1668, però poi tutto viene vissuto in un'atmosfera atemporale. I costumi, per esempio, giocano su un doppio colore, come nei quadri di Mark Rothko».
Il mondo della prosa italiana cambia e non solo nel nome. Al posto dei Teatri Stabili arrivano i Teatri Nazionali e per accedere ai contributi statali ci sarà una classica a punti.
«Alcuni aspetti della riforma sono interessanti. Viene meno la distinzione tra teatri pubblici e privati. Mi preoccupa invece la stanzialità, nel senso che molte compagnie dovranno svolgere molte attività in sede, con conseguente colpo mortale al principio della tournée».
Il teatro di oggi fatica a rigenerarsi…
«C'è poco ricambio generazionale. A partire da chi dirige un teatro che, il più delle volte, è tutt'altro che giovane. Un dato che porta un po' di pigrizia sul fronte della sperimentazione e del cambiamento».
Ormai le sale vengono riempite dai beniamini della televisione.
«Sempre più spesso vengono venduti i nomi, piuttosto che spettacoli, la cui qualità alla fine mi sembra non interessi granché.
Con lei in scena c'è Monica Piseddu, romana di nascita ma di padre sardo.
«Lavora con me dal 2002. È molto brava».
Trova il tempo per andare a teatro?
«Poco. Quando riesco ad andare, scelgo però giovani realtà».
Il teatro è ancora un osservatorio privilegiato da cui guardare la società?
«No».
Carlo Argiolas