Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Mendelssohn, i suoni del crepuscolo

Fonte: La Nuova Sardegna
25 febbraio 2014

 
Al Comunale Julian Kovatchev alle prese con la terza Sinfonia “Scozzese”




di Gabriele Balloi wCAGLIARI

Sul podio del Comunale è tornato giorni fa Julian Kovatchev. Dopo aver diretto nelle Stagioni precedenti Beethoven, Brahms, Rachmaninov, Puccini e uno splendido Shostakovich, eccolo un’altra volta ospite del Lirico. Ad affrontare,, da una parte la ben nota Sinfonia “Scozzese” di Felix Mendelssohn-Bartholdy e, dall’altra, due pagine poco frequentate quali l’Ouverture “In stile italiano” e la «Deutsche Messe» (Messa tedesca) di Franz Schubert. Insomma, due autori “ponte” per eccellenza, chiavi di volta in quell’arco storico-musicale che va dal classicismo (in senso lato) al romanticismo vero e proprio. Piatto forte della serata, quindi, era il Mendelssohn della «Terza»: stilisticamente la più matura fra le sue cinque sinfonie, tredici anni di gestazione e l’ultima realizzata, contrariamente al numero di pubblicazione. È qui che Kovatchev dà il meglio di sé. Nella cantabilità turgida e incisiva del primo movimento: col respiro, il palpito profondo che attraversa tutti gli archi, dai primi violini ai contrabbassi, nell’ordire il tessuto principale su cui si ricama un’elaborazione motivica fra le più raffinate di Mendelssohn. Nei febbrili, propulsivi temi del secondo: con il gagliardo virtuosismo dei fiati, specialmente i legni (primo clarinetto Pasquale Iriu su tutti), l’Orchestra del Lirico ci trascina nel vortice “ordinato” delle sovrapposizioni ritmiche, dei contrasti timbrici. Nell’«Adagio» poi del terzo tempo, è resa appieno tutta la bruma crepuscolare da atmosfera norrena: nelle varie esposizioni della melodia portante, declamata prima dalla voce dei violini e poi da quella più cupa e calda dei violoncelli, alternandosi al ritmo marziale che fagotti, clarinetti e corni più volte introducono. Giusto qualche piccola sbavatura, qua e là, negli “attacchi” degli ottoni, che si rifanno tuttavia nell’apoteosi conclusiva dell’«Allegro maestoso assai», sopra un trionfale climax dell’orchestra. In generale, Kovatchev pare sempre ottenere un impasto sonoro piuttosto corposo, ma soprattutto tendenzialmente brunito. Cosa ancor più evidente nell’Ouverture “In stile italiano” di Schubert, dove il suono complessivo è davvero scurissimo, forse anche per la scrittura in sé, ma al di là di ciò ben eseguita. Così, dai “crescendo” quasi rossiniani, diluiti nel gusto sinfonico austriaco, si passa alle reminiscenze del Corale bachiano nella «Messa tedesca». Partitura semplice, di poche pretese, che Kovatchev probabilmente non aveva molto nelle sue corde, limitandosi infatti a una lettura un po’ scolastica e non troppo partecipata, che avrebbe potuto esaltare di più il coro istruito da Marco Faelli.