Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

«A teatro ho sempre voglia di cambiare»

Fonte: La Nuova Sardegna
4 febbraio 2014


 
Intervista a Glauco Mauri, da domani in Sardegna per il Cedac con “Una pura formalità” in scena a Cagliari e Sassari 
 
 
 
 
 

di Roberta Sanna

CAGLIARI «A volte ci piace correre dei rischi. E’ la prima volta che faccio una versione teatrale da un film – l’avevo fatto da opere letterarie come Delitto e Castigo, il Faust». Lo dice Glauco Mauri, in arrivo a Cagliari e Sassari per il circuito regionale del Cedac parlando delle scelte della compagnia fondata con Roberto Sturno. «Da quando abbiamo potuto cominciare a scegliere - e a non dover passare per i consigli di amministrazione degli Stabili – lo facciamo in base a quello che ci piace veramente». Mettere in scena “Una pura formalità”, dal film di Tornatore, era un grosso rischio, a partire dalle perplessità con cui nel ‘94 il film era stato accolto a Cannes da pubblico e critica. A due settimane dal debutto alla Pergola di Firenze («sempre pieno. Ma a volte – precisa - i teatri si riempiono anche con cose brutte») può essere soddisfatto. «Non sono solito attaccarmi le medaglie al petto. Il debutto è andato benissimo, con un pubblico attentissimo». Perché il gradimento non si misura tanto dall’applauso, «ma dal silenzio, dall’attenzione, dalla predisposizione del pubblico ad ascoltare. La noia uccide tutto a teatro». E questo, assicura, è uno spettacolo pieno di colpi di scena, «uno spettacolo curioso, strano, che parte come una specie di thriller e alla fine attraverso tanti punti interrogativi arriva alla soluzione finale, che desta molta attenzione e curiosità». Una soluzione inaspettata, da non rivelare a chi non ha visto il film. Galeotta fu una videocassetta, che vari anni dopo Cannes, gli fece conoscere il film, oggi considerato uno dei più belli di Tornatore: «La sceneggiatura conteneva sfumature di carattere umano e poetico che mi hanno colpito». Quali? «Il rapporto tra il commissario, interpretato da me e Onoff, il grande scrittore accusato di omicidio, mi ha ricordato quello tra il commissario Porfirij e Raskolnikov di “Delitto e castigo”. Attraverso l’ironia, a volte la violenza, ma soprattutto una grande comprensione umana, cerca di tirar fuori dal presunto assassino la verità. Il fatto che un uomo aiuti un altro uomo a capire la verità su sé stesso mi ha affascinato, mi ha commosso, oserei dire. Più un’opera è importante e più permette al regista e all’attore di scoprire e rendere proprie certe sfumature. In questo consiste il lavoro dell’interprete.E’ una dinamica che certi autori mettono in moto». E lei, interprete di tanti classici, l’ha trovata mettendo in scena contemporanei come Mamet, Schmitt e Shaffer? «Interpretare un classico è come cantare un’opera di Verdi o di Rossini. Mentre con gli autori moderni si impone all’attore una dinamica interpretativa diversa, molto asciutta, un diverso ritmo. E questo serve anche come esercizio per toglierci da dosso la ruggine della routine. Nei testi moderni si “parla”, in quelli classici si “canta”, anche se io penso che si debba “parlare” anche nei classici». È un’esigenza di rinnovamento, quindi? «Sono sessantadue anni che faccio teatro, ogni anno presentiamo un lavoro completamente diverso. È giusto che abbia il desiderio di cambiarmi, mettere la mia esperienza a disposizione anche di tecniche drammaturgiche nuove». Cosa manca nel teatro italiano, difficoltà economiche a parte? «Manca il livello di cultura, come per i monumenti, i musei. Gli diamo poco valore. Siamo capaci di mettere un cuore in un altro corpo, di mandare congegni nello spazio. E dimentichiamo la cosa più importante: l’uomo. Che si costruisce proprio con la cultura – dando ad ognuno la possibilità di conoscersi, di dialogare con gli altri. Ciò che continuo a fare in teatro da trent’anni, con la lacrima e il sorriso, è mettere al centro l’uomo. Diceva Brecht una cosa bellissima: “Tutte le arti contribuiscono a quella più grande di tutte, quella del vivere”. Il teatro deve servire all’uomo». “Una pura formalità va in scena al Massimo da domani a sabato alle 20,30 (giovedì anche alle 17) e domenica alle 19. Al Comunale di Sassari si replica lunedì e martedì alle 21.