Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Il Paese «infelice» fiaccato dalla crisi

Fonte: La Nuova Sardegna
9 dicembre 2013

L’analisi: sviluppo sacrificato dalla politica in nome della stabilità. I fermenti: imprese di donne e immigrati

l’italia del censis




di Maria Rosa Tomasello wROMA

È un’Italia che galleggia, precaria, disoccupata e scontenta, che riesce con difficoltà a fare la spesa e a pagare le bollette, ma che tirando la cinghia si è tenuta faticosamente in piedi facendo tesoro «di ciò che restava della cultura collettiva» del passato: lo «scheletro» contadino, le capacità artigiane e mercantili. Ma se il crollo non c’è stato, tanti, troppi, hanno sceso la scala sociale. L’involuzione politica Il Censis racconta, nel suo 47° Rapporto sulla situazione sociale sul Paese, una nazione «sciapa», «infelice» e senza energia, che vive sospesa, in primo luogo a causa della “reinfetazione”, in nome della stabilità, dei soggetti politici, delle associazioni di rappresentanza, delle forze sociali, nelle responsabilità del presidente della Repubblica», una scelta che ha deresponsabilizzato chi doveva promuovere lo sviluppo. È una lettura politica, quella fornita dall’istituto guidato da Giuseppe De Rita: il secondo fattore di stallo, spiega infatti il Censis, «è la scelta implicita e ambigua di “drammatizzare la crisi per gestire la crisi” da parte della classe dirigente, che tende a ricercare la sua legittimazione nell’impegno a dare stabilità, partendo da annunci drammatici, decreti salvifici e complicate manovre». Un vuoto «di classe politica e di leadership» che ha lasciato gli italiani incerti e sempre più indiffenti, con il 56% disinteressato alla politica (contro il 42% della media europea). Il «sale alchemico» Ma i fermenti della ripresa, il fervore che fa da motore al sistema, esistono. Il Censis li individua nella «lenta emersione» di nuovi processi: il crescente sviluppo dell’imprenditoria femminile (nell’agroalimentare, nel turismo, nel terziario di relazione), nell’iniziativa degli stranieri. Le imprese guidate da donne sono aumentate di 5mila unità, mentre sempre più immigrati, non trovando lavoro, hanno scelto di rischiare in proprio. Nel 2012 infatti sono 379.584 gli imprenditori stranieri censiti (+16,5% tra il 2009 e il 2012, +4,4% nel 2013). Cresce però il rischio di razzismo: il 60% degli italiani prova «diffidenza» nei confronti degli immigrati che, per due italiani su tre (65,2%) sono troppi. Un terzo elemento di dinamicità, infine, è rappresentanto dalle centinaia di migliaia di italiani che studiano e lavorano all’estero che «possono contribuire al formarsi di una Italia attiva» nel mercato globalizzato. Il crollo dei consumi Il principale sintomo di un Paese «smarrito» e «profondamente fiaccato dalla crisi» è il calo dei consumi: su un campione di 1.200 famiglie, il 69% ha indicato un peggioramento della capacità di acquisto. Nel 2013 le spese delle famiglie sono tornate indietro di oltre dieci anni: una famiglia su quattro fa fatica a pagare tasse e bollette, e il 72,8% sarebbe in seria difficoltà di fronte a una spesa imprevista come una malattia grave e la riparazione dell’auto o della casa. Per risparmiare il 76% dà la caccia a offerte e promozioni, il 53% ha ridotto gli spostamenti con auto e scooter, il 45% ha rinunciato al ristorante. Circa 8 milioni hanno avuto aiuto economico dai familiari. Forte la preoccupazione per la pressione per tasse e le spese non derogabili. Lavoro precario, meno imprese «Il 2013 si chiude con una dilagante incertezza sul futuro del lavoro» dice il Censis: il 14% degli occupati teme di perdere il posto, mentre 6 milioni di persone sono precarie e 4,3 milioni non trovano un impiego. In quattro anni, dal 2009 al 2012, in un campione di 56 distretti è stata registrata una flessione del numero di imprese del 3,8%, quasi 2mila unità. Unico elemento di ottimismo resta l’export: le vendite all’estero, in 150 distretti manifatturieri, sono cresciute del 3%. Crollo anche per il mercato del mattone, con le compravendite di immobili diminuite del 45% dal 2007 al 2013. Nel 2013 si potrebbe arrivare al 50%. Cresce il divario Nord-Sud: il Pil pro-capite nel Mezzogiorno è di 17.947 euro, il 57% del Centro-Nord e inferiore a quello di Grecia e Spagna.