Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Sì ai lavori a Palazzo Aymerich

Fonte: L'Unione Sarda
5 settembre 2013

Ribaltata la decisione del Tar del 2010: ingiustificato lo stop al cantiere nell'edificio di Castello

 

Il Consiglio di Stato fa cadere i vincoli della Soprintendenza

 


Cadono tutti i vincoli imposti dalla Soprintendenza dei beni archeologici, dopo sette anni di battaglie giudiziarie potranno ripartire i lavori di ristrutturazione di Palazzo Aymerich. Con una sentenza quasi a sorpresa, il Consiglio di Stato ha ribaltato la decisione del Tar del 2010, considerando «carente e contraddittoria» l'attività istruttoria disposta dal ministero dei Beni culturali «sulla rilevanza artistica» dell'edificio progettato da Gaetano Cima nel 1830 e devastato dai bombardamenti del 1943. Viene così accolto l'appello della società Dac, che aveva proposto il progetto di recupero nel 2005 e si era vista imporre lo stop ai lavori il 27 dicembre del 2006, pochi giorni dopo l'apertura del cantiere.
VIA LIBERA AL RECUPERO Non ci sono più ostacoli giudiziari per il recupero del palazzo di Castello che aveva anche scatenato un aspro dibattito politico. Il progetto prevede la realizzazione di un fabbricato che avrà cinque piani sul lato di via dei Genovesi e tre in via Lamarmora, con una decina di appartamenti, locali commerciali, parcheggi e una superficie di quasi 700 metri quadri da cedere a titolo gratuito all'amministrazione comunale per servizi dedicati al centro storico. I giudici romani fotografano anche lo schema di riqualificazione urbanistica tracciato nel 2003 dal Programma integrato d'area: «Ricostruzione del palazzo nella sua originaria consistenza, con il ripristino dell'antico percorso pedonale del Portico-Laconi». La facciata verrà ricostruita secondo la linea disegnata da Cima, col recupero dei pochi pezzi sopravvissuti alla furia delle bombe.
LA SENTENZA «L'appello della Dac è fondato e va accolto» scrivono i giudici amministrativi romani, che parlano di «contraddittorietà» dell'azione amministrativa. Nel mirino il passaggio nevralgico del programma approvato dal Comune e sottoscritto dalla Soprintendenza «in sede di conferenza di servizi», che si era detta favorevole alla riedificazione del palazzo. A tal proposito la società concessionaria aveva subito puntato il dito contro il ritardo del procedimento che ha portato i vincoli storici-artistici sul palazzo, «oltre il termine previsto dalla legge». I magistrati romani danno anche una stoccata alla linea del ministero: «Tale determinazione di vincolo su Palazzo Aymerich appare poco coerente con le conclusioni raggiunte in sede di esame del programma di recupero del centro storico» nel 2003. In quell'occasione «la Soprintendenza aveva deciso di sottoporre a speciale tutela solo Palazzo De Candia, posto nelle vicinanze», ignorando l'edificio di via dei Genovesi.
«ISTRUTTORIA CARENTE» Il Consiglio di Stato critica l'istruttoria carente alla base della proposta del vincolo, «con elementi non sufficienti per supportare la dichiarazione di interesse particolarmente importante» dell'edificio di Castello. Sarebbe stata necessaria un'azione «più completa e funzionale per mettere in evidenza la sicura rilevanza culturale del bene da sottoporre a regime vincolistico». I giudici amministrativi parlano di «incertezza su quali siano gli elementi architettonici di Palazzo Aymerich immediatamente riferibili all'opera del Cima meritevoli di conservazione e tutela», anche perché «l'immobile è ridotto attualmente a poco più di un rudere».
Giulio Zasso 

 


Retroscena

Uno dei simboli
delle battaglie
sull'urbanistica

I nervi erano scoperti, la guerra sui temi urbanistici che opponeva il centrodestra (al governo in città e all'opposizione alla Regione) e il centrosinistra (all'opposizione in città, al governo alla Regione) nella fase più delicata.
Era il 2006 e palazzo Aymerich fu uno dei simboli di quella battaglia. A sinistra si riteneva che a destra perseguisse un progetto di violenza del paesaggio e del passato (Tuvixeddu ne fu il simbolo più eclatante), a destra accusavano la sinistra di «vivere nel culto dell'interdizione» (parole di Gianni Campus, assessore all'Urbanistica della Giunta Floris). Quando a fine anno apre il cantiere per la ristrutturazione del palazzo, il livello della protesta sale. Un gruppo di residenti, ambientalisti e alcuni consiglieri comunali del centrosinistra inscenano sit-in. Si susseguono esposti alla Procura, richieste di intervento di assessori, ministri, carabinieri del Noe, Corpo forestale. «È come se si costruisse sui Fori imperiali», tuona lo scrittore Giorgio Todde. Il centrodestra replica: «Ma come, il progetto è stato oggetto di conferenze dei servizi, è al centro di un progetto integrato, ha avuto l'ok delle soprintendenze ed è passato per due volte in Consiglio comunale senza che nessuno obiettasse nulla, perché ora tutto questo chiasso?». «La porzione del palazzo sopravvissuta potrebbe includere importanti resti di epoca medievale nella sua parte basamentale, mentre in elevazione presenta le caratteristiche compositive dovute all'architetto Cima alla metà dell'ottocento», rilevano i difensori. Qualcuno replica che in Restauronet, un volume diffuso a livello comunitario dove vengono elencati i migliori progetti di qualità residenziale, palazzo Aymerich è citato come esempio positivo. Alla fine lo stop è definitivo. Sino a ieri. (f.ma.)