GORAN BREGOVIC
«Nei miei concerti amo festeggiare» Ha cominciato a suonare il violino perché il padre, colonnello dell’Armata popolare jugoslava, voleva che diventasse un virtuoso di quello strumento. Ma Goran Bregovic ha capito presto che «le ragazze preferiscono i chitarristi» e ha cambiato direzione. Racconta così il musicista bosniaco, nato a Sarajevo nel 1950, da madre serba e padre croato. Nel Dna già una miscela di culture, nazionalità e religioni, che ha influenzato la sua musica. Artisticamente è cresciuto nel gruppo rock “Bijelo Dugme”, il più famoso nella sua città a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80. E poi l’esplosione della “sua”musica, quella tzigana popolare dei Balcani, fusa festosamente con gli ottoni delle fanfare tradizionali del mondo slavo meridionale. Bregovic sbarca stasera a Cagliari con la sua Wedding&Funeral Band, per il gran finale dell’European Jazz Expo al Parco della Musica. Prima di lui, alle 20, a Villa Muscas, il sassofonista Stefano D’Anna, e, alle 21, sempre sul palco di Piazza Nazzari, la voce di Irene Grandi, che alimenta così il suo feeling con le atmosfere jazz (recente l’album con Stefano Bollani). Bregovic e la musica “balcanica”. Definizione riduttiva? «Io sono un compositore dei Balcani, locale, non posso evitare che la mia musica venga definita “balcanica”», risponde l’artista bosniaco. «Ed essere dei Balcani – continua - significa provenire da paesi di frontiera, al confine fra Turchia ed Europa, dominati per cinque secoli dagli Ottomani, abitati da cattolici, ortodossi e musulmani. Questo ha tracciato per noi una storia terribile, ma la nostra musica è una miscela di tante musiche che appartengono a popoli che si odiano fra loro ».
Un «Frankenstein», la definisce, «ma nella nostra tradizione musicale si trova sempre qualcosa di “familiare ” che proviene da quella del “nemico” e viceversa». Malinconia, suoni accesi, atmosfere zingaresche, nostalgia, nei temi di Bregovic, che, nei lati oscuri, fanno risuonare quella guerra “tutti contro tutti”, in cui il popolo balcanico ha conosciuto l’odio, la contrapposizione fra etnie e fedi religiose diverse. La consacrazione del musicista e compositore di Sarajevo arrivò grazie alle colonne sonore scritte per i film più celebri di Emir Kusturica, “Il tempo dei gitani”, “Underground ”, Palma d’oro a Cannes nel ‘95. Bregovic e il cinema. «Ci sono arrivato per amicizia con Kusturica». Ma dopo la guerra civile nella ex Jugoslavia non ha più composto colonne sonore. Con una eccezione. Ricorda con piacere un’esperienza italiana, del 2005, “I giorni dell’abbandono”, di Roberto Faenza, nelle vesti di attore e di autore del tema musicale. E stasera, alle 19, nel foyer del Lirico, Bregovic, in un’antepri - appuntamenti ma del festival “Creuza de Mà”, che a Carloforte parla di cinema e musica, racconterà il rapporto fra le sue composizioni e il grande schermo. Goran e la Sardegna. «Ci venivo già molto tempo fa con la mia barca a vela.
È uno dei luoghi più belli d’Italia», paese per il quale nutre un amore particolare: «Solo la parola ti fa sorridere». Ama vestirsi di bianco, Bregovic: «Il concerto è una festa. Mi piace vestirmi con quel colore, mettere un abito che non uso abitualmente. Nel mio contratto c’è anche scritto che devo avere qualcosa di alcolico sul palcoscenico. Insomma, per me significa vivere un momento speciale e in quelle due, tre ore di concerto voglio festeggiare». Massimiliano Messina