Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Pensionati più poveri

Fonte: L'Unione Sarda
10 giugno 2013

I calcoli della Ragioneria dello Stato. Meglio abbandonare il lavoro più tardi
 

Da oggi al 2060 gli assegni perderanno il 10%
La pensione sarà sempre più bassa per gli italiani. È vero che, come calcolato dall'Inps nei giorni scorsi, ci sarà un risparmio per l'istituto di previdenza sociale di circa 80 miliardi in dieci anni, grazie alla riforma entrata in vigore lo scorso anno, ma allo stesso tempo a farne le spese saranno i lavoratori che si vedranno decurtare l'assegno. Una diminuzione inevitabile, spiegano i tecnici, per l'allungamento dell'aspettativa di vita. E la pensione integrativa diventerà indispensabile.
IL CALCOLO La Ragioneria generale dello Stato ha calcolato il valore della pensione rispetto all'ultimo stipendio. La serie parte dal 2010 e viene effettuata sulla base del versamento di 36, 38, 40 e 42 anni di contribuzione. Ebbene, tra il 2010 e il 2060, un lavoratore con 38 anni di contributi perderà il 10 per cento della pensione, passando dall'83,2% dello stipendio (come primo assegno al momento dell'addio al posto di lavoro) al 72,9%. Più contenuta la perdita per chi ha invece versato almeno 42 anni di contributi: in questo caso, il lavoratore percepiva l'86,9% dello stipendio come primo assegno pensionistico nel 2010, mentre nel 2060 arriverà a prendere il 79,6%, con una penalizzazione di sette punti. Il concetto dunque è chiaro: più si lavora e maggiori sono le possibilità di ottenere un assegno consistente.
AUTONOMI Gli autonomi, invece, secondo i calcoli della Ragioneria generale dello Stato, appaiono maggiormente penalizzati dalla riforma, visto che un lavoratore con 38 anni di contributi passerà da un assegno che vale il 94% dell'ultimo stipendio nel 2010 a una pensione pari ad appena il 73% della busta paga nel 2060. E anche nel caso di 42 anni di contributi, si passerà dal 98,1% al 79,6%, con una penalizzazione quasi di venti punti. Anche in questo caso, dunque, si rischia di vedere rafforzata la tendenza ad abbandonare il lavoro il più tardi possibile e a puntare decisamente su un'integrazione del reddito attraverso i fondi pensione.
IL SINDACATO Una condizione, però, che non piace ai sindacati, critici con gli effetti prodotti dalla riforma. «In realtà, la perdita di valore del 10% va raddoppiata o triplicata perché va messa in collegamento con il fatto che sarà sempre più difficile raggiungere i requisiti massimi per la pensione», spiega Oriana Putzolu, segretaria generale della Cisl sarda, «bisogna infatti tenere presente che i giovani iniziano a lavorare più tardi e soprattutto l'approccio con l'occupazione avviene con contratti atipici. Quindi aumenterà lo scollamento tra chi è già in pensione e chi non vi potrà andare perché non riesce a farlo». In questo quadro, ammette Putzolu, anche «il ricorso al sistema delle pensioni integrative è sempre più necessario».
Giuseppe Deiana