Rassegna Stampa

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Zona franca: solo posti di lavoro, ma scordiamoci benzina gratis e sigarette scontate

Fonte: web cagliaripad.it
4 giugno 2013


Cagliari
3 Giugno 2013 ore 10:21
 

“La Sardegna non può diventare una grande Livigno”, è il parere unanime degli esperti. L’isola può però creare delle Zone franche doganali, i presupposti di legge ci sono. Intanto a Cagliari la società creata ad hoc è arenata tra le indecisioni-VIDEO
Carlo Poddighe,
c.poddighe@cagliaripad.it
 

“La Zona franca integrale? Sì, in Antartide”. È caustico Massimo Deiana (VIDEO), ordinario di Diritto della Navigazione della facoltà di Giurisprudenza di Cagliari, quando gli viene chiesto se l’Isola possa diventare una grande Livigno. “Perché l’Unione europea dovrebbe concedere questo privilegio alla Sardegna e non invece alla Basilicata, o, in un contesto più ampio, alla Grecia?”, aggiunge ironico il professore.

Niente benzina gratis, né sigarette scontate, la Sardegna può ambire soltanto a creare delle Zone franche portuali con benefici fiscali di altro tipo.

Nonostante i proclami dei mesi scorsi da parte del Governatore Cappellacci, anche la stessa Regione Sardegna sembra aver corretto il tiro. Nel Collegato alla manovra finanziaria 2013, non c’è nessun provvedimento istitutivo della Zona franca integrale, invece al comma 16 “si determinano le condizioni per la urgente definizione dell’iter attuativo riguardante le zone franche doganali della Sardegna”. Anche per questo la Giunta ha deciso, nello stesso provvedimento, di chiedere al Consiglio dei Ministri di trasformare la società “preposta alla gestione da Cagliari Free Zone in Sardegna Free Zone”.

D'altronde, esistono già tutti i presupposti normativi perché ciò avvenga. Già dal 1998 un Decreto legislativo, il n° 75, ha istituito 6 Zone franche doganali nei porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax. In questi quindici anni sembra sia mancata, quindi, la volontà politica di realizzarle realmente.

Emblematico è il caso della Zona franca portuale (Free Zone) che si sta cercando di creare nel porto di Cagliari. Da anni la situazione è in stallo, tra tante, anche troppe aspettative, e nessun atto concreto. A differenza delle altre zone franche quella del porto di Cagliari è già stata autorizzata dall’Unione europea. Allora cosa impedisce che si realizzi di fatto? Sembra assurdo, ma il maggior ostacolo è rappresentato dalla società creata ad hoc per far decollare il progetto.

La “Cagliari Free Zone s.c.p.a.”, è stata costituita nel lontano 2000 ed è partecipata al cinquanta per cento dall’Autorità portuale e dal Cacip, il Consorzio industriale provinciale. Proprio questa struttura bicefala ha impedito per 13 anni che la società realizzasse una reale area libera da dazi doganali all’interno dello scalo marittimo del capoluogo. L’unica cosa positiva è che la “Cagliari Free Zone” non si è trasformata nell’ennesimo carrozzone pubblico, mangia soldi e stipendificio per parenti e amici. Ospitata negli uffici del Cacip di viale Diaz, non ha personale, le riunioni vengono verbalizzate a turno da impiegati dell’Autorità portuale e del Consorzio industriale.

Presidente della Free Zone scpa è Piergiorgio Massidda (Port Autority), mentre l’amministratore delegato è l’avvocato Natale Ditel (commissario straordinario del Cacip). L’ingresso in società di soggetti istituzionali come la Regione, comune e provincia di Cagliari e la Camera di commercio, con funzione di arbitri e garanti delle scelte future, potrebbe risolvere l’empasse. Il pragmatismo e lo spirito di iniziativa del Presidente Massidda contrasta con una visione più politica e di concertazione del Commissario Ditel.

L’area del porto che dovrebbe diventare zona franca, secondo quanto indicato dall’Unione europea è quella a sud del Porto Canale, e inglobberebbe anche il villaggio pescatori di Giorgino. Ci si troverebbe così nel paradosso che per andare a mangiare del pesce in un ristorante della zona bisognerebbe presentare il passaporto, in quanto la Free zone è fiscalmente un territorio extra nazionale. “Un altro falso problema, una pinnicca”, la definisce Salvatore Plaisant (VIDEO), titolare dell’Agenzia marittima Plaisant & c. srl. e consigliere della Camera di commercio di Cagliari per il settore trasporti e spedizioni. “Basterebbe che la Regione decidesse di recintare un’area più circoscritta, come il terminal container dove opera attualmente la Cict – continua – e la questione sarebbe risolta. La Zona franca sarebbe il fiore all’occhiello per il porto di Cagliari, lo farebbe conoscere nell’intero bacino del Mediterraneo e rappresenterebbe un volano per tutte le imprese che lavorano nello scalo”.

Sull’area intorno al Porto Canale grava però un contenzioso, proprio tra Cacip e Autorità portuale sull’effettiva proprietà di alcuni terreni. Ma anche questo sembra essere un falso problema, “su cui deciderà il Consiglio di Stato a breve”, spiega il commissario del Cacip, Natale Ditel (VIDEO). “Quello che servirebbe è invece un cospicuo finanziamento da parte della Regione, almeno 10 milioni di euro immediati”, aggiunge.

Chi da tempo ha lanciato l’allarme per le troppe occasioni sprecate in passato e non vuole essere lasciato solo nella battaglia per valorizzare commercialmente il porto è Piergiorgio Massidda (VIDEO). “Bisogna muoversi, andare a cercare in tutto il mondo le aziende da portare a Cagliari e soprattutto cambiare l’idea di Zona franca che si è avuta sino adesso”, spiega. Niente benzina scontatissima e prodotti duty free, insomma

Ma quali possono essere i benefici per le aziende sarde ad istallarsi nel porto di Cagliari, allora? “Nessun beneficio”, taglia corto Massidda. “La convenienza è solo per le aziende che operano extra Schengen, fuori dall’Unione europea”. Un’azienda sarda che lavorasse dentro la Free Zone pagherebbe i dazi sui prodotti non appena andrebbe a rivenderli in Italia o in Europa. “La convenienza è solo per le aziende di paesi fuori dall’Unione che commerciano con altri paesi anch’essi fuori dalla Ue”. Il porto di Cagliari sarebbe una testa di ponte tra questi mercati. Spazio quindi alle imprese cinesi, arabe e sud americane. “Per la Sardegna ed i sardi i benefici saranno soprattutto sotto il profilo dell’occupazione. Le aziende straniere useranno maestranze sarde, impiegati e tecnici sardi e tutto l’indotto se ne avvantaggerebbe”.

Le occasioni perse, intanto, sembrano diverse. Toyota, Ikea, ma anche una grossa società cinese che assembla auto. Sono queste alcune fra le più importanti aziende internazionali che si sono informate sulla Zona franca doganale al porto di Cagliari. Un contatto, una mail con alcune richieste su logistica e costi e poi silenzio.

Pif. Una speranza in più può essere il Pif, il Punto di ispezione frontaliero, che l’Autorità portuale sta costituendo proprio al porto canale. Nel Pif possono essere smistati e lavorati alimenti e animali provenienti da paesi extra europei e diretti sempre a paesi fuori dell’Ue. Il Pif aumenterebbe la tipologia di merce che potrebbe fare scalo a Cagliari ed entro l’anno dovrebbe essere pienamente attivo. Sarebbe, tra l’altro, l’unico in Sardegna dopo la chiusura di quello già esistente a Olbia nella banchina ex Palmera.