Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Fanno del bene ma li sfrattano

Fonte: L'Unione Sarda
18 marzo 2013


LA STORIA. L'associazione Alfabeto del mondo e il caso del palazzo di via D'Arborea

Accolgono gli immigrati: «Non sappiamo dove andare»

L'Alfabeto del mondo è Prisca Nzeymana, magistrato fuggita dal Burundi con i suoi bambini per cercare libertà, lavoro e dignità. Oggi regala il suo tempo e le sue competenze facendo la mediatrice culturale. L'Alfabeto del mondo è Magdy Hosfar, egiziano, quattro figli, che grazie all'associazione ha trovato una speranza per il suo e il loro futuro e si è messo a disposizione insegnando l'arabo ai sardi. L'Alfabeto del mondo è Giorgio Pinna, lauree in ingegneria informatica e lingue antiche che dopo aver lavorato tutta la settimana, il sabato insegna informatica, tedesco e fa corsi di recupero per ragazzi difficili. È Maristella Vassallo, che dopo 42 anni di insegnamento (Scienze naturali e biologiche) ha deciso di dare il suo contributo perché gli immigrati possano avere una chance di inserimento nella società.
UTILITÀ SOCIALE Alfabeto del mondo è una associazione no profit che si occupa principalmente dell'accoglienza degli stranieri a cui insegna anche l'italiano. Ma, grazie a cento soci volontari, organizza corsi gratuiti di lingue (dall'inglese al francese, dal giapponese all'arabo, dal tedesco al cinese) rivolti a chi non si può permettere di pagarli, si occupa, di concerto con il ministero della Giustizia e il Tribunale, dei lavori di pubblica utilità per detenuti che scontano pene alternative, supporta nell'istruzione minori in difficoltà. Tra tutte le attività, offre servizi a mille utenti.
Da settembre del 2011 l'associazione, che ha sempre avuto sede a Sant'Eulalia, si è insediata nei mille metri quadrati di un palazzo comunale di via D'Arborea, dove ha operato serenamente sino a due mesi fa. L'INIZIO DELL'INCUBO La loro prospettiva è cambiata il giorno in cui i membri della commissione Politiche sociali del Consiglio comunale sono andati a fare un sopralluogo nel palazzo. Scoprendo la loro presenza, peraltro ben nota all'assessorato competente, che ha concesso, seppur provvisoriamente, la sede all'associazione, che segnala loro periodicamente persone da seguire, che cita l'associazione (e il relativo indirizzo) nel piano delle politiche culturali comunali. L'effetto di quella scoperta è stato devastante. Perché improvvisamente il Comune ha deciso di sfrattarli.
L'ASSESSORE «L'affidamento in via provvisoria è stato deciso dagli uffici, poi è scaduto e come in tanti altri casi l'associazione è rimasta nei locali senza averne titolo», spiegò Susanna Orrù all'indomani della segnalazione della commissione. «Purtroppo», aggiunse, «senza un regolamento per l'assegnazione di questi spazi, non si potrebbe fare diversamente. L'alternativa sarebbe mandar via tutti. È necessario fare una ricognizione di tutti gli immobili comunali e decidere quali sono i criteri per affidarli. Quel palazzo comunque verrà liberato presto, perché ha bisogno di una ristrutturazione».
IL CALVARIO E LA BATTAGLIA Da quel momento è iniziato un calvario. Hanno sempre saputo di essere ospiti provvisori, nel palazzotto di Villanova, ma il regolamento a cui fa riferimento l'assessore non c'è e per questa ragione le loro richieste di assegnazione dello spazio non sono state prese in considerazione. «Eppure chi si occupa di assistenza agli immigrati ha priorità nell'assegnazione degli spazi pubblici», spiega Eugenia Maxia, insegnante e presidente dell'associazione. Non solo: «Se il Comune avesse stipulato una convenzione formale con noi avrebbe ottenuto anche finanziamenti».
Insomma, l'Acam (acronimo di Associazione culturale Alfabeto del mondo) è una risorsa non un peso. E fa del bene gratis. Per questo non può permettersi di pagare un'altra sede a prezzo di mercato, visto che si regge con i soli contributi dei soci, che non sono ricchi mecenati ma studenti, impiegati, insegnanti, precari, disoccupati. Che dedicano il loro tempo libero agli altri.
I GIOVANI VOLONTARI C'è Eleonora Giardino 20 anni, che fa la responsabile dei lavori di pubblica utilità e insegna inglese e tedesco. C'è Barbara Rais, 23 anni, tesoriera, responsabile dello staff amministrativo ed insegnate di informatica. C'è Irene Contini, 18 anni, insegnante nei corsi di francese e giapponese. Ci sono Alessandro Martini (18 anni) insegnante di Francese, Silvia Giardino (17 anni), grafica, Claudia Serra, 15 anni, informatica, Marta Pinna, 15 anni, che si occupa dell'accoglienza, Nicolò Muscas, 17 anni tutor di giapponese e tedesco.
MAKSIM L'ALBANESE Maksim Bardhi, vice presidente dell'associazione, albanese, è arrivato in Italia con la sua famiglia perché aveva seri problemi di salute. Poverissimo, non parlava italiano e non sapeva a chi rivolgersi. «Grazie all'associazione ho trovato assistenza, mi sono curato e ora da tre anni faccio il mediatore culturale e insegno l'albanese a due ricercatori universitari. Abbiamo sempre fatto la manutenzione dell'immobile a nostre spese», prosegue Bardhi. «Non capisco perché ci fanno questa guerra. Come può il Comune mettere per strada, tra gli altri, 400 immigrati e 38 detenuti?».
IL PARADOSSO Paradossalmente il Comune caccia un'associazione a cui segnala stranieri da assistere, poveri a cui insegnare una lingua straniera, studenti da aiutare a superare l'esame di terza media. E a cui chiese libri da regalare ai bambini rom. Anche la Asl si serve di Acam, che insegna lingue a un gruppo di venti persone dipendenti da varie sostanze.
«CHIEDIAMO SERENITÀ» Maria Grazia Putzolu è una delle socie fondatrici. Forma gli insegnanti e si occupa di cooperazione internazionale. «Il sindaco Massimo Zedda, appena eletto, disse che aveva intenzione di dare la cittadinanza onoraria a tutti i figli degli immigrati», racconta. «Fu un'affermazione importante. Ci dicemmo: siccome la nostra missione è favorire l'integrazione degli stranieri ci daranno una mano. Perché noi insegnamo alle madri appena arrivate da un paese straniero a parlare con gli insegnanti dei loro figli, ai padri ad andare all'Enel o ad Abbanoa a farsi allacciare l'energia o l'acqua, a comprarsi il biglietto del bus. Per questo abbiamo bisogno di una sede stabile e ci serve nel centro storico perché gli immigrati stanno qui. Abbiamo bisogno di spazi e serenità. Non ci aiutino, ma non ci ostacolino nemmeno. Non chiediamo altro».
Fabio Manca