Intervento di Maria Paola Morittu, di Italia Nostra: “Le previsioni del piano sono in totale contrasto col contenuto del ppr”. Palazzo Aymerich: “Un intervento che farebbe vergognare qualsiasi società civile"
Maria Paola Morittu
Nel momento in cui ho scritto per Italia Nostra le osservazioni sul piano particolareggiato del centro storico adottato dalla scorsa giunta, ero convinta che non sarebbero servite a nulla. Mancavano pochi giorni alle elezioni del nuovo sindaco ed ero sicura che la nuova amministrazione avrebbe fatto carta straccia di quel piano. Ne ero certa, perché quello che “osservavo” io era esattamente lo stesso che “vedeva” l’attuale sindaco. E non solo durante la campagna elettorale ma, soprattutto, nel corso della sua attività di consigliere comunale e regionale.
Sapevo che nell’interpellanza n. 21/C-4 del 22 giugno 2009, sulla «predisposizione del piano particolareggiato del centro storico di Cagliari - capitale della Sardegna», Massimo Zedda e altri consiglieri regionali avevano duramente criticato le “precise e concrete disposizioni finalizzate ad una nuova mappatura dei vuoti urbani causati dai bombardamenti del 1943 che […] potrebbero sfigurare o deformare la fisiologia e la morfologia dell’appartenenza identitaria della città e del suo tessuto urbanistico”.
Il nostro sindaco, allora, aveva anche ricordato che fino all’adeguamento del piano urbanistico “il ppr in vigore, nei comuni che, come Cagliari, sono sprovvisti di piano particolareggiato per il centro storico, consente «unicamente gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e risanamento conservativo degli immobili che ivi insistono, con il preciso scopo di salvaguardarne le particolarità storiche, di memoria degli eventi o della identità urbanistica originaria»”.
L’impossibilità di superare questa disposizione senza adeguare il piano urbanistico al piano paesaggistico era chiara e riconosciuta. “Il piano particolareggiato non potrebbe essere redatto in questo momento visto che il puc del Comune non è ancora stato «adattato» al piano paesaggistico regionale (ppr) vigente” avevano dichiarato i consiglieri firmatari illustrando alla Nuova Sardegna i motivi dell’interpellanza. “Infatti” - aveva spiegato Zedda – “si parla di linee di indirizzo e non del piano vero e proprio” (La Nuova Sardegna, 24 giugno 2009).
Anche per questo, al momento dell’adozione del piano particolareggiato, l’attuale sindaco, da consigliere comunale, aveva duramente attaccato la decisione di dotarsi del nuovo strumento urbanistico: “solo oggi sappiamo del Piano, prima avevamo solo le linee guida. Ma ci vuole poco a capire il senso di questo documento: si vogliono riempire gli spazi liberi senza prima dirci qual è l’idea di città” (L’Unione Sarda, 26 gennaio 2011). Denunce pesanti, che non provenivano da un ambientalista “talebano” ma da chi - per anni - aveva svolto con preparazione e rigore importanti ruoli istituzionali. Lecito, dunque, tornare a sperare. E aspettarsi che in caso di vittoria elettorale le cose sarebbero radicalmente cambiate.
La nuova amministrazione, invece, nonostante siano trascorsi quasi due anni dal suo insediamento e oltre sei dall’approvazione del ppr, non ha ancora adeguato il piano urbanistico alla disciplina paesaggistica, perpetuando la violazione degli articoli 4 e 107 delle norme tecniche di attuazione del ppr, che impongono l’obbligo dell’adeguamento in un termine massimo di dodici mesi. E il consiglio comunale, contravvenendo alle precedenti posizioni ufficiali del sindaco, si sta accingendo ad approvare in via definitiva il criticatissimo piano particolareggiato, addirittura prima di adeguare il puc al ppr.
Siamo, dunque, costretti a ricordare brevemente a Massimo Zedda le nostre - e soprattutto le sue - osservazioni. In primo luogo, prendiamo atto della conferma che, fino all’adeguamento del piano urbanistico alla disciplina paesaggistica, vigono le misure di salvaguardia previste dal ppr, come ampiamente riconosciuto dalla sentenza del Tar Sardegna n. 232 del 18 marzo 2011.
L’approvazione del piano particolareggiato del centro storico - piano attuativo del puc - prima dell’adeguamento di quest’ultimo al ppr, deve, dunque, considerarsi assolutamente illegittima. Secondo l’art. 21 della Legge urbanistica regionale, del resto, il piano particolareggiato è approvato “in conformità a quanto previsto nel piano urbanistico comunale”. Ne consegue che se il contenuto di quest’ultimo non è stato adeguato alla disciplina paesaggistica non potrà esserlo neanche il piano attuativo.
Contraddicendo l’evidenza dei fatti, invece, l’art. 2 delle norme tecniche di attuazione dichiara che “il presente strumento è redatto in adeguamento al piano paesaggistico regionale”. Poco importa che siano ammessi anche tutti gli interventi previsti nei piani attuativi - ovviamente antecedenti all’adozione del ppr - e le conseguenti devastanti e irreversibili modifiche di contesti d’interesse paesaggistico e culturale.
Esemplare il caso relativo all’area di Palazzo Aymerich e del Portico Laconi, la quale, nonostante l’intervenuta dichiarazione di interesse storico culturale dell’intero complesso e la contrarietà al piano paesaggistico dell’intervento, prevede l’abbattimento del portico e della parte di edificio residua e la successiva ricostruzione di un palazzo con sei piani fuori terra e due piani di parcheggi interrati. La zona ha conservato la vecchia destinazione prevista da un programma integrato, mantenendo un indice di edificabilità altissimo - 14 mc/mq - quasi il triplo di quello concesso in un quartiere periferico (ad esempio Sant’Avendrace), dove non si può superare il limite già molto elevato di 5 mc/mq. Un intervento che farebbe vergognare qualsiasi società civile.
In totale contrasto con i principi e le prescrizioni del piano paesaggistico appare anche la decisione di edificare all’interno di una ventina di vuoti urbani altri cinquantamila metri cubi, che si aggiungono alle ulteriori migliaia previste dai piani attuativi già approvati, come il «vuoto strategico» di via Fara.
Insieme al nostro sindaco, abbiamo contestato anche noi, tutte le edificazioni a fini residenziali degli spazi “liberi” a seguito di avvenimenti bellici e quindi oramai «storicizzati», in violazione ai fondamentali principi stabiliti dalle varie Carte del Restauro, quella di Atene - che già nel 1931 prevedeva la subordinazione dell’interesse privato all’interesse collettivo - e quelle di Gubbio e di Venezia. Principi indiscutibili, confermati e ribaditi con forza nella Dichiarazione di Amsterdam del 1975 sulla «Conservazione Integrata» e nella Carta di Cracovia del 2000, sui «Principi per la conservazione ed il restauro».
E’ facile comprendere che la realizzazione di un numero di ricostruzioni così diffuso determinerà il completo stravolgimento dei profili e dell’immagine dell’intero centro storico, contravvenendo alle stesse «finalità» del piano particolareggiato, indicate nella tutela «dell’identità ambientale, storica, culturale ed insediativa rappresentata dai centri storici di Cagliari e di Pirri» e nella possibilità di «tramandare alle generazioni future i caratteri connotativi della propria identità» (articolo 1 delle norme di attuazione del p.p.c.s.).
In nessuno di questi casi è inoltre preso in considerazione quanto prescritto dall’art. 52 delle norme tecniche di attuazione del ppr, riguardo alle «aree libere a seguito di demolizione di unità e organismi edilizi preesistenti», per le quali, «in sede di adeguamento dello strumento urbanistico deve essere attentamente valutata l’opportunità del mantenimento degli spazi per finalità di pubblico interesse».
Tuonava, allora, il futuro sindaco, annunciando il suo programma elettorale: «non è concepibile che i cosiddetti vuoti urbani, come prevede il piano particolareggiato del centro storico, cambino la loro destinazione da aree di servizi e verde pubblico a zone edificabili». (http://cagliarixtutti.wordpress.com/2011/05/06/lerispostedelcandidatomassimo-zedda/).
Le nostre osservazioni hanno riguardato anche la costruzione di nuovi parcheggi in struttura, opere con effetti disastrosi sul paesaggio e sull’ambiente, bandite da tutte le politiche europee in materia di mobilità per l’aumento dell’inquinamento e dell’accertata funzione di “grandi attrattori” del traffico veicolare.
Ma il piano particolareggiato non tutela neanche il patrimonio edilizio esistente, ammettendo interventi di restauro assolutamente incongrui, realizzabili in violazione di tutti i fondamentali principi in materia. Si tratta di interventi eccessivamente schematici, sempre affrontati in un’ottica di rifunzionalizzazione piuttosto che di conservazione, in totale assenza di un reale studio dei materiali, delle tecnologie costruttive, di finitura e delle coloriture originarie.
L’applicazione delle disposizioni previste dal piano particolareggiato, in altre parole, sancirebbe il definitivo trionfo del “finto antico” sull’autentico, sostenuto e diffuso da un malinteso concetto di “valorizzazione”. Le nuove costruzioni e la realizzazione di restauri filologicamente scorretti distruggerebbero inesorabilmente quello che ancora resta del centro storico.
Come ultima cosa, in risposta alle solite obiezioni, vorremmo rassicurare la giunta su eventuali risarcimenti dovuti ai proprietari per la cancellazione di aree già dichiarate edificabili. Secondo giurisprudenza costante non solo non è dovuto alcun risarcimento, ma addirittura, la destinazione a verde privato non richiede neanche una motivazione specifica.
«Infatti, l’urbanistica e il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo e armonico del medesimo; uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, non in astratto, ma in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia dei valori ambientali e paesaggistici, delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, delle esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che s’intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione del futuro sulla propria stessa essenza, svolta per autorappresentazione ed autodeterminazione dalla comunità medesima, con le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, con la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio», Consiglio di Stato, sentenza del 21dicembre 2012, n. 06656. Speriamo che il Consiglio comunale, nel momento in cui dovrà decidere le sorti del piano particolareggiato del centro storico, rispetti questi principi, considerati fondamentali dallo stesso programma elettorale dell’attuale amministrazione.