Rassegna Stampa

Sardegna Quotidiano

Scarti tossici nell’ex deposito dell’Eni bomba ecologica in via Santa Gilla

Fonte: Sardegna Quotidiano
5 febbraio 2013

ALLARME A SANT’AVENDRACE

 

di Enrico Fresu enrico. fresu@ sardegnaquotidiano. it

AMBIENTE Nessuna bonifica nell’area che ospitava l’Agip contaminata da idrocarburi: analisi sulla terra, risultati choc 

LA SCOPERTA Decine di ettari “gonfi ” di carburante: laguna minacciata. I residenti riuniti in comitato, incarico a un legale 

 

H14: una sigla che se associata a un rifiuto fa paura. Significa “ecotos - sico”, e si riferisce a “rifiuti che presentano o possono presentare rischi immediati o differiti per uno o più comparti ambientali”. Quelli, per capire, contrassegnati con l’etichetta di un albero morto, senza foglie, e un pesce con pancia all’insù. È la classificazione per i materiali prelevati dall’ex deposito dell’Agip di Sant’Avendrace. Un’area enorme, abbandonata, tra il nuovo cavalcavia sopra viale dei Giornalisti, la ferrovia e via Santa Gilla. I risultati delle analisi risalgono a qualche mese fa. Un chimico, per conto di una società di Matera, ha studiato un campione di terreno e, dopo una lunga serie di valori sballati, con gli idrocarburi alle stelle (238 milligrammi per litro), arriva alla conclusione: «In relazione ai risultati analitici dei parametri determinati e sulla base delle informazioni circa la provenienza, il campione analizzato è classificabile, ai sensi del decreto legislativo 152, come rifiuto speciale pericoloso. Può essere conferito presso idoneo impianto di trattamento regolarmente autorizzato (difficile da trovare in Sardegna, ndr)». E ancora: «Sulla base delle dichiarazioni fornite dal produttore, ed in base ai risultati analitici ottenuti, si ritiene che esso presenti la classe di pericolosità H14». Ecotossico, appunto. Una precisazione è d’obbligo: anche per seguire la prassi, l’esperto spiega che il risultato delle analisi è riferibile solo al campione analizzato. Il problema è che quel mucchietto di terra è stato prelevato da un’area a ridosso delle case e a un passo dallo stagnodi Santa Gilla. Una laguna protetta, in teoria, nella quale finisce la benzina, e non solo, rimasta nel suolo dopo la dismissione del deposito. Nelle buche scavate per valutare i lavori di bonifica affiora l’acqua dello stagno, che sale e scende in falda a seconda delle maree. Filtra, si riempie di idrocarburi, e torna in laguna. Si parla da tempo di bonifica, ma il problema sta proprio qui.

LA STORIA E LE PROTESTE Le prime attività di caratterizzazione iniziano a gennaio del 1997, anni dopo la dismissione. L’Eni affida la bo nifica alla Ecotherm di Roma, ditta privata che nasce nel ‘75, come sua partecipata. Il progetto di intervento viene presentato due anni dopo al Comune di Cagliari. Il tempo passa e intanto cambia anche la normativa che regola il settore: il decreto legge 152 del 2006 soppianta il decreto Ronchi, e nella procedura è prevista anche l’analisi di “rischio sanitario sito specifico”. La Ecotherm provvede, sui terreni e sulla falda, e il 14 febbraio del 2007 deposita la relazione all’Arpas. La pratica non viaggia svelta e finirà sul tavolo di una conferenza di servizi, nella quale si decidere come intervenire, solo nel luglio 2009. I valori degli idrocarburi presenti risultano elevati rispetto alle aree circostanti, ma siccome si tratta di un’area industriale in dismissione non vengono considerati pericolosi. L’Eni ottiene di essere dispensata dalla bonifica ambientale. Ma nel 2012 contatta la Provincia: devono essere rimossi l’impianto di emungimento (un sistema di pompe) usato per monitorare la falda, e la vasca di landfarming (utile per la bonifica di siti contaminati). L’inter vento è affidato alla Bng di Matera, che a ottobre del 2012 inizia le opere di rimozione. Vengono smosse migliaia di metri cubi di terra maleodorante. E il caso esplode: la puzza invade il quartiere, le fosse scavate dall’i mpresa sui riempiono di acqua carica di idrocarburi che filtrano da tutte le parti. Il liquido viene in parte aspirato e trentamila litri vengono stoccati in un’autocisterna. Le analisi effettuate danno il responso: materiale ecotossico. Ma il patatrac sembra fatto, i residenti della zona scoprono cosa hanno sotto casa e si riuniscono in un comitato, che affida la tutela legale agli avvocati dell’associazione Casa dei Diritti. La politica non sta a guardare. Ad occuparsi del caso, e sollevare il problema, è il consigliere comunale del Pd Claudio Cugusi: «Il buon senso e le leggi prevedono che chi sporca poi pulisca. Questo vale anche per una multinazionale come l’Eni. A cui chiediamo di agire, prima che la gente sia costretta a intraprendere le strade che si imboccano in questi casi». C’è aria di denunce, e una bomba ecologica da disinnescare. Anche perché quel terreno, nonostante tutto, nel Puc non risulta più come industriale, ma come area di espansione. E i progetti ci sono già.