Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Cagliari città solidale

Fonte: L'Unione Sarda
3 dicembre 2012


Ci sono 330 associazioni di volontariato, silenziosa anima altruista
«Al Comune diciamo: dateci in gestione le strutture abbandonate»
Gli strepiti sguaiati, spesso, fanno più rumore del silenzio operoso. Provocando errori di valutazione: per esempio che Cagliari, di fronte a fatti di cronaca che incidono sulla pelle degli abitanti - metti il recente caso della villa ai rom - sia una città razzista o egoista. Non è vero: Cagliari ha un'anima solidale. Ospitale e accogliente. Lo dicono i numeri - ben 330 associazioni di volontariato censite -, lo dicono i fatti poco pubblicizzati dei tanti cittadini impegnati nel sociale, in concreti atti di generosità e disponibilità verso gli altri.
 

ASSOCIAZIONISMO Una chiacchierata con il presidente di Sardegna solidale, Giampiero Farru, 55 anni, aiuta a capire perché Cagliari e i suoi cittadini meritino molto più di quel che si dice.
«Ci sono 330 associazioni che si occupano di volontariato, un numero alto in rapporto ad altre città. Gente che destina una fetta del proprio tempo libero per aiutare il prossimo. La dimostrazione che i cittadini esprimono meglio di chi amministra i valori del saper vivere insieme».
Gente comune, dunque, che quotidianamente tesse una rete associativa, apparentemente invisibile, «che produce un bene non commerciabile e non valutabile economicamente: costruire relazioni fra le persone, in particolare con chi soffre, chi è emarginato o solo». Le storie sono tante, spesso legate al mondo cattolico. Ma a Sardegna solidale - che ha una impostazione laica - interessa la persona, che sta al centro di tutto. Spiega Farru: «Ci sono medici e infermieri che, finito il turno, vanno alla Caritas e assistono i bisognosi; insegnanti che allo squillo della campanella si dedicano a corsi di recupero per studenti o di integrazione per immigrati; professionisti che chiudono la porta del loro studio e aprono quella di una mensa dove vanno a servire pranzo e cena ai poveri. E tanti cagliaritani “comuni” che offrono la loro disponibilità. In vari modi perché il volontariato è anche assistenza, promozione sociale, mutualità. Certo, la parte fondamentale è il servizio alla persona ma sono importanti anche i beni culturali, ambientali, la tutela degli animali. Le anime solidali, insomma, sono tante». E presidiano ogni quartiere della città, cementate in associazioni, movimenti, gruppi che penetrano nel tessuto urbano modellandosi sui valori dell'assistenza e dell'attenzione agli ultimi.
 

IDENTIKIT Chi è il volontario-tipo cagliaritano? «Una persona che rispetta quattro requisiti: prestare un'attività libera, spontanea, gratuita e personale attraverso una organizzazione che ha anch'essa dei requisiti, ovvero democraticità, obbligo di bilancio, eleggibilità di tutti i soci, ognuno dei quali con diritto di voto». Volontari si nasce o si diventa? «La cultura associativa, lo stare insieme agli altri, devi averla dentro. Non si impara. Spesso ci contattano e dicono “sono andato in pensione e ho tempo libero, cosa posso fare?”. Questo approccio è sbagliato e inutile». Di cosa ha bisogno una associazione di volontariato? «Una sede dove poter stare. Poi corsi di formazione perché il volontario non può improvvisare, deve essere persona competente. Quindi le risorse, perché ogni buona idea non va da nessuna parte se non ha gambe». Problema drammatico, visto i tagli. Spiega Farru: «Gli enti pubblici ci dicono sempre che soldi non ne hanno. Noi ci teniamo a galla grazie alle Fondazioni bancarie, che per legge devono devolvere una percentuale dei loro proventi al volontariato. ma non basta. Il Banco di Sardegna ci dà 500 mila euro all'anno: ma a livello regionale è poca cosa, così ci dobbiamo ingegnare per trovare altri fondi con progetti». Il rapporto col comune di Cagliari? «Con la giunta Floris apparentemente buono ma di fatto esprimeva la cultura secondo cui quelli che fanno volontariato e assistenzialismo sono bravi ma devono stare in un angolo; con la giunta Zedda approcci interessanti ma non abbiamo ancora avuto riscontri concreti».
 

ATTI CONCRETI Cosa può fare il Comune, in concreto? «Per esempio affidarci strutture abbandonate. Noi le apriamo e utilizziamo per il bene collettivo, siamo per la cultura del riuso.Dall'ex Manifattura Tabacchi all'ex deposito dell'aeronautica di Monte Urpinu gli esempi si sprecano. Siamo riusciti ad avere la scuola di via Piovella e ora dentro ci sono 30 associazioni. È tempo che anche la politica dia il buon esempio, tanti cagliaritano già lo danno».
Sergio Naitza