Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Ponti-trappola sui fiumi in piena

Fonte: L'Unione Sarda
4 novembre 2008


I ripiani di cemento hanno rallentato il deflusso dell'acqua

Il rio San Girolamo è tracimato allagando strade e case in corrispondenza dei ponti che hanno frenato il deflusso dell'acqua.
Di fronte al ripetersi ciclico di grandi disastri ambientali, come l'alluvione del 22 ottobre nel territorio di Capoterra, occorre prendere consapevolezza del fatto che è in atto un profondo mutamento climatico. Che sia stato provocato dalle attività umane o rientri in quei cambiamenti interglaciali che più volte hanno interessato la Terra, è ancora motivo di contrasto tra gli scienziati. Ma, lasciando ad altre sedi il dilemma, occorre rendersi conto che bisogna fare i conti con una nuova realtà climatica caratterizzata da temperature sempre più alte in estate e da forti precipitazioni autunnali. Sotto questo punto di vista, i tropici sono dietro la porta di casa.
A Poggio dei Pini, a Rio San Girolamo e a Frutti d'Oro la disperazione e il dolore dei primi giorni sta lasciando spazio alla voglia di ricominciare a vivere ma anche a una malcelata rabbia contro tutto e contro tutti per ciò che si poteva fare per evitare tante rovine e per ciò che non si è fatto. E ora che le strade sono state sgombrate dalle macerie e sono stati innalzati argini di fortuna sulle sponde dei torrenti, si comincia a ragionare sui perché di questo disastro.
Per ricostruire la scena di un'alluvione sono necessarie complesse elaborazioni matematiche, sofisticate ricostruzioni al computer e accurate valutazioni di una massa enorme di dati. Ma, per comprendere le regole fondamentali di questo fenomeno, è sufficiente effettuare un esperimento che può essere condotto anche nel bagno di casa. Bisogna ostruire quasi completamente lo scarico di un lavandino e poi aprire al massimo i rubinetti. Tempo qualche minuto e l'acqua, colmato il catino, comincerà ad allagare la casa. Accade così anche in natura. Un acquazzone particolarmente violento ingrossa i fiumi che scendono impetuosi verso il mare. Se la strada è libera e sufficientemente ampia, la valanga d'acqua defluisce senza particolari problemi. Se non può raggiungere agevolmente la foce, sale di livello e allaga. Come nel lavandino di casa. Con la differenza che, per rimediare al danno, non sono sufficienti un secchio e uno straccio. Quando un fiume straripa sono dolori. E lutti.
Anche il 22 ottobre è andata così. Sui monti e sulla piana di Capoterra la pioggia è caduta con una intensità mai vista prima. Quasi 380 millimetri in tre ore. Mille rivoli si sono raccolti in un torrente, il rio San Girolamo, che si è ingrossato oltre misura e, nell'impetuosa corsa a valle, ha trovato l'alveo del fiume ristretto da una serie di ponti. I primi li ha spazzati via poi ha raggiunto la diga di Poggio dei Pini, l'ha colmata e ha ripreso a scorrere impetuoso. Quando ha raggiunto la pianura, ha perso forza e, davanti a nuove strettoie, bloccato il deflusso verso il mare, è salito di livello. A quel punto, l'imponente massa d'acqua e di fango, superati gli argini, ha allagato strade e case.
Ancora oggi, a quasi due settimane dalla tragedia che si è abbattuta su una delle aree più densamente abitate della costa sarda, i segni di questa successione di eventi sono ben visibili. Nella zona montana, dove il torrente, acquistata forza nei pendii più scoscesi, ha eroso le sponde e sradicato alberi trascinando milioni di metri cubi di roccia e detriti. E a valle, dove è straripato in corrispondenza dei punti in cui il fiume ha incontrato le sponde di cemento armato dei ponti.
Il primo di questi ostacoli, nella piana costiera, è il ponte in corrispondenza della lottizzazione di Rio San Girolamo. Qui le sponde sono protette da una muraglia in pietra che si restringe in corrispondenza della copertura in cemento. Poi l'alveo si allarga nuovamente per restringersi ancora più nettamente poche centinaia di metri più a valle, in corrispondenza della strada Cagliari-Pula. Qui, gli ostacoli che si sono frapposti al regolare deflusso delle acque sono addirittura tre in una ventina di metri. Il primo è il vecchio ponte della statale con una serie di arcate alte poco più di due metri che poggiano su tre pilastri e ostruiscono ulteriormente il cammino; poi viene la grossa conduttura dell'acquedotto, posta a una quota ancora più bassa; infine, il nuovo ponte della statale sulcitana, anch'esso troppo basso per un torrente che è già straripato più volte in tempi recenti.
Sono stati questi gli ostacoli che il 22 ottobre hanno impedito il regolare deflusso delle acque determinando l'allagamento della piana costiera? Sarà l'indagine della magistratura a sciogliere ogni dubbio. Per il momento restano pesanti perplessità. Ancora ieri, mentre osservava sconsolato la sua azienda pesantemente danneggiata, Gianfranco Manca, un imprenditore agricolo, ripeteva di aver più volte segnalato il pericolo ai tecnici del comune di Capoterra. «Mi hanno risposto che non potevano farci nulla, erano strutture realizzate da Anas ed Esaf e solo loro potevano intervenire».
Discorso a parte va fatto per il secondo torrente che scende dai pendii di Santa Barbara. Il rio Masone Ollastu scorre a sud del rio San Girolamo e viene alimentato da un bacino imbrifero meno ampio. Ha comunque raccolto un massa imponente d'acqua e di detriti che hanno spazzato via una piccola diga in pietra. Il bacino era in secca (è ancora ben visibile il verde dell'erba alla base dello sbarramento) e ha solo rallentato la corsa dell'acqua che ha lambito alcune serre. Anche questo corso d'acqua ha superato gli argini, provocando minori danni rispetto all'altro fiume. È accaduto in prossimità del mare, all'altezza di Su Loi, ancora una volta in corrispondenza del punto in cui l'alveo del fiume viene intersecato dalla strada statale.
A questo punto, precisato che ponti e canali sono stati realizzati tenendo conto dei dati sulla piovosità degli ultimi cento anni, va detto che, a breve distanza da Capoterra, la pioggia del 22 ottobre ha fatto ingrossare anche altri fiumi che non hanno provocato disastri. È il caso del torrente che scende da Monte Nieddu, lambisce Villa San Pietro e si getta in mare all'altezza di Pula. Testimoni parlano di una massa d'acqua impetuosa scesa all'improvviso con un fronte alto più di quattro metri e di un pastore che ha perso quasi per intero il gregge. L'ondata di piena si è incanalata in un alveo largo cinquanta metri e protetto da robusti muraglioni alti una decina, ha lambito il culmine ma non è tracimata, è passata sotto ponti altrettanto grandi ed è defluita in mare. A Villa San Pietro e a Pula, memori di altre disastrose alluvioni, molti hanno temuto il peggio ma le opere dell'uomo hanno retto.
I ponti e il canale di Pula sono così grandi perché sono rapportati a un bacino imbrifero che è molto più vasto di quello di Poggio dei Pini. Il 22 ottobre, la pioggia torrenziale ha interessato solo una parte del territorio pulese; vista la massa d'acqua convogliata in mare, forse non è azzardato ritenere che neppure questi argini avrebbero retto se tutto l'arco dei monti di Pula avesse scaricato la stessa massa d'acqua. Affidarsi agli scongiuri non serve. Oggi occorre rivedere i conti e lavorare guardando al futuro, non più al passato. Tenendo conto che i disastri in pianura si prevengono salvando la montagna.
ANGELO PANI

04/11/2008