Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

«Scrivere per gli adolescenti Come loro pronta a tutto»

Fonte: La Nuova Sardegna
8 ottobre 2012



A Cagliari “Tuttestorie” dedica una serata alla scrittrice Marie-Aude Murail I bambini del suo ultimo romanzo e il lavoro dedicato a Charles Dickens




di Daniela Paba wCAGLIARI Un po' Tin tin, un po' Jeanne Moreau di "Jules e Jim", con la sua aria da monello Marie-Aude Murail incanta il pubblico, ragazzi o adulti non fa differenza. Viso mobile, sguardo penetrante, mai ovvia, divertente e amara come la vita, come un romanzo: è una delle più grandi scrittrici francesi contemporanee. Tuttestorie le ha dedicato l'incontro notturno di sabato dal titolo "Oh, Boy" come il libro che - come racconta nell'intervista di seguito - «è un insieme tale di calamità che a riassumerle passa la voglia di leggerlo. Ma si ride molto perché ci sono due personaggi completamente fuori e ciò provoca situazioni da umorismo nero. Racconta di tre bambini abbandonati dal padre mentre la madre si è suicidata col Fornet. La situazione è descritta con tre frasi: In via Mercuri al n°12 c'erano tre bambini e due adulti, poi tre bambini e un adulto, e stamattina tre bambini. Volevo parlare della fratellanza, perciò mi sono sbarazzata dei genitori perché non ci fossero parassiti». Nel libro i tre bambini finiscono affidati a un fratellastro omossessuale. Può la letteratura smantellare i pregiudizi? «Ci sono un fratellastro e una sorellastra, il giudice che li convoca perché cerca un tutore. Al fratellastro omosessuale i ragazzini non interessano affatto. Ma è lui che invece sceglieranno i ragazzi e faranno di tutto perché sia Bart il tutore. Spesso dicono che le mie storie aiutano a comprendere le differenze, a essere tolleranti e questo mi affatica. Non voglio che si sia tolleranti, voglio che si ami. Io amo Barthelemy, perché ho amato un ragazzo omosessuale, ho vissuto in un quartiere omosessuale, perché il mio vicino era omosessuale, e due di loro sono morti di Aids. Creo dei personaggi perché siano amati e non tollerati». Scrivere per gli adolescenti significa osservarli, un esercizio che la Murail conosce bene, li guarda, li riconosce e li ama perché «Sono nuovi, pronti a tutto, io sono come loro. Le montagne russe, rido, piango, sono triste e ci credo. Mi sento mostruosa, come loro si sentono mostruosi. Soffrono e io amo chi soffre, hanno fame e ho voglia di dar loro da mangiare. Prima di partire ho ricevuto una mail: la madre di un ragazzino di 12 anni tutto informatica e videogioco, 'ogni tanto - mi dice- affianco al suo letto metto un libro, come si fa per dar da mangiare alle bestie selvatiche. Gli regala il mio La mia vita è cambiata, la storia di una mamma sola con suo figlio, così come è lei. Lui lo legge in una notte e la mattina dopo lo dà alla madre dicendo: "Leggilo". Non credo di scrivere per gli adolescenti ma perché adulti e adò parlino, e se io li guardo è per parlare loro, per ascoltarli. Quello che ci manca è la parola. I miei libri provocano la parola». Tra le opere della Murail in italiano c'è “Pic-nic al cimitero e altre stranezze”, biografia romanzata di Charles Dickens che si legge come un romanzo: «Ho letto molto di Dickens, su Dickens ma è vero che l'ho trattato come un personaggio e, come in tutti i miei personaggi, mi identifico, do loro un amore incondizionato. E' la storia di un ragazzo a cui hanno rubato l'infanzia e la mia biografia è solo un po' squilibrata: racconto molto dell'infanzia, dell'adolescenza, e all'improvviso la celebrità: a ventiquattro anni era una gloria nazionale. Era un operaio, la sua famiglia era in prigione, a dodici anni era finito, a ventiquattro è famoso. Cosa è successo? Aveva tutte le carte in regola per finire male. Cosa lo ha salvato? La letteratura. E poi amava i bambini: si sbaglia quando si dice che è uno scrittore per bambini, è il pittore dell'infanzia. Perché Dickens aveva una memoria del passato straordinaria. Si definiva l'inimitabile ed era inimitabile. Ho cominciato a leggerlo che avevo già letto tutti i classici francesi e pensavo che le storie dovessero finire male. Con Pickwick ho capito che potevo ridere e una storia finire bene. Per anni l'ho ringraziato. Cosa potevo fare io per lui? Potevo trasmetterlo, raccontarlo. A fine anno uscirà un mio adattamento de “La grande speranza”: verso la metà ho accelerato, come nella biografia, perché il lettore del XXI secolo non è quello del XIX secolo, non ha più il tempo. E come nei feuilleton ho messo delle illustrazioni.