Rassegna Stampa

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Dieci euro per un'insalata nella Cagliari che "rinuncia" ai turisti: viaggio tra gli errori di un ma

Fonte: web Castedduonline.it
28 agosto 2012


27/08/2012 16:30

 

di Francesco Mancino

La città e la Regione delle occasioni perse. Ogni anno a fine stagione turistica si sentono le stesse nenie lagnose di chi lamenta una stagione con il 20-30-40% di calo degli affari. Un’abitudine che seppur con risvolti drammatici per quanto riguarda economia e lavoro non manca mai di far sorridere, seppur amaramente, chi prova ad avere un approccio positivo e propositivo per risolvere l’annoso problema di trasformare Cagliari e la Sardegna in un vero paradiso turistico dove tutti i sardi in modo diretto o indiretto possano beneficiare delle economie che ne derivano.
Partiamo da un punto fondamentale: per diventare meta turistica è necessario che i sardi abbiano una mente turistica. Questo pare essere un piccolo dettaglio ma invece è il più grande macigno ed ostacolo che impedisce il vero salto di qualità. Avere una mente turistica impone una ridefinizione anche delle proprie abitudini di vita, dei propri caposaldi culturali e uno sforzo di apertura enorme verso gli altri. Proviamo a fare degli esempi.
Orari di apertura di negozi e attività commerciali.
Vi è mai capitato di andare in giro per una capitale (e non solo) straniera ed entrare in un ristorante a pranzo alle 15? Provate a farlo a Cagliari e vedete che vi rispondono, se addirittura non trovate il locale chiuso. Oppure, dopo un concerto a teatro provate verso le 22.30/22.45 a trovare un posto dove vi diano da mangiare le specialità che uno si aspetta di mangiare in Sardegna, carne o pesce. Se siete fortunati a quell’ora Mc Donald’s non ha ancora chiuso, oppure il massimo della specialità locale è panino con carne di cavallo e patatine presso un caddozzone al Poetto.
Una città che vuole veramente chiamarsi turistica non può continuare ad avere la pausa pranzo dalle 13 alle 17 nelle zone ad alta densità turistica come la zona del Porto, Castello e le zone di maggiore interesse. Una città che vuole veramente chiamarsi turistica non può chiudere i suoi negozi del centro alle 20, dovrebbe tenerli aperti perlomeno fino alle 22.
Certo, sentiremo i commercianti lamentarsi di:
1) Aumentando le ore di lavoro devo assumere più gente
2) Il flusso di turisti ora non mi consente di avere ricavi maggiori tali da potermi permettere aumenti dei costi
3) Ma chi me lo fa fare?
Considerando i primi due punti, è chiaro che per iniziare un ciclo virtuoso sia necessario dover prima fare dei sacrifici, perché il turista non viene perché sa che io ho aperto il negozio, ma è vero che il turista non torna più se sperimenta che tutti i negozi sono chiusi.
Ecco, forse il problema serio è proprio il terzo punto: “Ma chi me lo fa fare?”
Perché in fondo Cagliari e la Sardegna (tranne qualche sporadico caso, come San Teodoro) ha dimostrato e dimostra in ogni occasione di non aver voglia di diventare una vera città turistica. Ci si lamenta e spesso si invidia chi lo fa (“eh si, a Ibiza o in Turchia si che sanno fare turismo”), ma poi in fondo non si ha tanta voglia di cambiare veramente le cose.
Si vuole il turismo, ma non si vuole il chiasso dei turisti che, giustamente, in vacanza ci vanno per divertirsi e non per mummificarsi. Salvo poi lamentarsi che i propri figli possono dormire tranquillamente a casa, ma perché non hanno lavoro e quindi sono costretti…a stare a casa.
Si vuole il turismo, ma il mio cuoco entra alle 18 e finisce di cucinare alle 22, che tra le 22 e le 23 deve pulire la cucina.
Si vuole il turismo, ma il vecchio ospedale Marino lo trasformiamo in una beauty farm e non in un albergo a costo accessibili (35-50 a notte), pensando che arriveranno migliaia di persone da tutto il mondo in ITALIA-SARDEGNA-CAGLIARI-POETTO-SETTIMA FERMATA per farsi fare due massaggi e un percorso benessere che possono fare in Slovenia pagando un quinto o un sesto e senza sbattersi tra aerei e traghetti. Siamo seri, dai…
Si vuole il turismo sportivo, ma le piste ciclabili finiscono nelle rotonde (e attraversala tu una rotonda con Schumacher in piena accelerazione), al Poetto si corre sull’asfalto (tranne a Quartu dove c’è un tratto in pavé), dove per avere una concessione per un campo da beach tennis o beach volley devi prima laurearti in ingegneria burocratica e poi pagare fior di quattrini per dare un servizio che dovrebbe dare il Comune stesso gratuitamente…in una città che da sempre in tutte le campagne elettorali di qualsiasi colore parla di sport come importante veicolo per il turismo.
Si vuole il turismo enogastronomico, quando appena sentono l’accento fuori dai confini cittadini ti mettono la sovratassa “pirla” sul conto con tanto di “sorridi al turista” che sa tanto di “ne ho fregato uno anche stavolta”. Ebbene, è giusto portare a conoscenza una cosa: visto che negli altri paesi il coperto non si usa pagarlo, ma si da una mancia in percentuale sul conto, gli stranieri sono abituati a controllarsi lo scontrino e il conto. Quindi li fregate una volta e non due.
Si vuole il turismo, ma i chioschi hanno prezzi mediamente superiori a qualsiasi bar del centro. Addirittura prezzi superiori a località prettamente turistiche. E non raccontateci che 8-10 euro per un’insalata è un prezzo giusto. La carenza di soldi ha portato le persone ad una maggiore conoscenza e consapevolezza di quello che costano le materie prime. 8-10 euro per un’insalata è un prezzo eccessivo. E non diteci che è insalata speciale proveniente dai giardini del Re. Vogliamo prodotti locali per far assaggiare i prodotti sardi ai turisti. Se voglio mangiare prosciutto della Valtellina, vado in Valtellina. Non ho mai visto tanta gente come quest’anno andare in spiaggia con la borsa frigo coi panini da casa. Un motivo ci sarà.
Si vuole il turismo culturale, ma non esiste né un piano dettagliato degli eventi culturali e se già è difficile avere conoscenza di ciò che di culturale c’è in città per uno della città, figuriamoci per un turista. E poi se una persona dovesse decidere di andare a vedere il concerto di Battiato, secondo voi, andrebbe più volentieri in Sicilia in mezzo alle rovine di Taormina, o a Verona all’Arena, oppure allo spazio concerti a Sant’Elia con sfondo palazzoni da centro di espansione popolare?
Siamo seri, se vogliamo diventare veramente un approdo turistico dobbiamo risolvere il problema dei trasporti (troppo cari e troppo mal serviti), risolvere il problema degli alloggi (che devono essere più funzionali sia come location che come prezzi al turismo attuale) ma soprattutto dobbiamo cambiare mentalità.
Se no? Appuntamento alla prossima stagione dove parleremo ancora di “calo del 30% delle presenze, calo del 45% dei ricavi, calo del 30% dell’occupazione” fino ad arrivare al calo delle braghe di tela, con il turismo quasi assente dalle nostre parti. E’ una visione troppo apocalittica? Speriamo. Ma per cambiare le cose sperare non basta.