Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Sei bimbi nei container Ecco chi è rimasto nel villaggio fantasma

Fonte: L'Unione Sarda
20 agosto 2012

In un terreno vicino vivono ancora due famiglie rom


Non tutti sono andati via dal campo della strada statale 554. Due famiglie rom hanno deciso di restare. Quindici persone, tra cui sei bambini, sono in attesa di trovare una sistemazione migliore. Vivono in un deposito di container che confina con l'area sequestrata dal tribunale. Dormono dentro due cassoni di metallo, sotto una piccola pineta che guarda la Motorizzazione civile. Al di là di una recinzione completamente arrugginita e semi-divelta spunta un ragazzo sui vent'anni. «Cosa ci faccio qui? Ci abito. Come mi chiamo? Non te lo dico. Non vogliamo niente. I giornalisti qui non servono. Stiamo benissimo, non vogliamo case».
CHI RESISTE All'ingresso principale del terreno, in viale Monastir, una prostituta africana aspetta i clienti sotto il sole e dà il benvenuto salutando con la mano seduta su una seggiola di plastica. Il cancello è spalancato. Il terreno appartiene alla ditta “Sarda Tmc” (il nome è impresso su uno striscione e anche nella cassetta delle lettere) specializzata nel noleggio e nella vendita di «container uso magazzino, casette prefabbricate, chioschi, bungalow e pensiline». All'interno non c'è nessuno, pare. Una leggera brezza agita le foglie dei pioppi, nessun altro movimento. Ci sono decine di container e vecchi furgoni. Dei dipendenti nessuna traccia. Poi ecco di nuovo le voci dei bambini che giocano. Pochi istanti e si materializzano dieci persone.
IL RACCONTO Il nuovo interlocutore dice di chiamarsi Zaiko Sulejmanovic e risulta decisamente più loquace di chi lo ha preceduto. «Siamo rom», si presenta, «siamo due famiglie, per un totale di quindici persone. Un tempo vivevamo nel campo insieme agli altri, ma dopo una serie di risse furibonde il nostro gruppo venne espulso. Da tre anni viviamo qui, per gentile concessione del proprietario della ditta, che in questi giorni è chiusa per ferie».
CAPOFAMIGLIA Il capo della mini-comunità ha cinquantasette anni e racconta di essere cardiopatico. «Non posso lavorare perché sono malato al cuore», si lamenta toccandosi il petto, «ed è un grosso problema per me perché sono sposato e ho otto figli. Come viviamo? Dormiamo nei container e per mangiare ci arrangiamo».
LE DONNE «Non paghiamo niente per stare qui, facciamo i custodi», spiega una giovane donna, «quando capita svuotiamo cantine su commissione. Le persone ci chiamano per sbarazzarsi della loro roba vecchia. Rivendiamo il ferro e ci guadagniamo, in media, 60 euro al giorno. Poco, ma ci basta». Le condizioni di vita sono drammatiche, ma migliori di quelle del vecchio campo attiguo. Nel mini-accampamento non manca infatti l'elettricità, c'è il bagno e anche l'acqua corrente. Ma i rifiuti abbondano e l'aria, complice il vento, è satura delle ceneri tossiche provenienti dell'ex campo. «Non stiamo male, ma se ci dessero una casa vera ci trasferiremmo subito», ammette Sulejmanovic, evidentemente di avviso contrario rispetto a chi aveva parlato prima di lui, «dal Comune siamo in attesa di una risposta da mesi. Per il momento non ci sta aiutando nessuno».
I BAMBINI I minori costretti a dormire nei container sono sei, di età compresa tra uno e dieci anni. Sgranano gli occhi di fronte agli intrusi, sorridono, poi si abituano alla sua presenza e dopo un po' riprendono a giocare fra loro. «Vanno tutti a scuola», giura Sulejmanovic, «siamo gente perbene, viviamo qui dal 1990, ci sentiamo cagliaritani».
Paolo Loche

 

Parla il presidente del circolo Acli di Is Mirrionis
«Gli abitanti di Mulinu Becciu
hanno respirato diossina per anni»
«Vorrei che certi cagliaritani la smettessero di definirsi “non razzisti” per poi dimostrare il contrario nei fatti. Bisogna remare nella stessa direzione, imbarcando tutti nella nave della solidarietà». Così Maurizio Fanzecco, presidente del Circolo Acli di Is Mirrionis, da sempre in prima linea per difendere i più deboli. Sul caso dei Rom, il rappresentante dell'associazione cristiana lavoratori italiani ha le idee chiare. «Sono state dette cose inesatte da parte di persone che avrebbero dovuto operare in silenzio visto il loro ruolo. Primo: non è il sindaco che ha deciso di sequestrare il campo ma il tribunale. Secondo: pochi hanno constatato la grave situazione in cui versa l'ex discoteca di Flumini. Terzo: il Comune risparmierà centinaia di migliaia di euro. Ma la cosa più importante è l'obiettivo della vera inclusione». Ancora: «Io sto coi cittadini di Mulinu Becciu che per anni hanno respirato diossina e sto coi rom che hanno voglia di integrarsi». «Non sto», conclude, «con chi le spara grosse per apparire e dimentica che, anche i cagliaritani, talvolta, hanno case comunali senza pagare o le occupano spedendo anziani sulla strada». Diverso il parere di Silvio Pinna, del Comitato spontaneo di San Michele. «Nella zona di via Cinquini», riferisce, «molti residenti sono preoccupati perché una decina di famiglie Rom sono state trasferite in via Sulcis, nell'ex sede dei Saveriani. Non siamo razzisti, ma temiamo che il degrado ambientale che si è verificato sulla 554 possa ripetersi a due passi da casa nostra. Chiediamo semplicemente che si vigili». ( p.l. )