Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Stipendi, i sardi incassano meno

Fonte: L'Unione Sarda
6 marzo 2012

Le retribuzioni nell'Isola inferiori a quelle italiane, già più basse della media europea

 

I sindacati: le aziende in difficoltà non applicano gli integrativi

Se i lavoratori dipendenti italiani guadagnano mediamente meno dei colleghi delle altre nazioni dell'Unione europea, i sardi sono agli ultimi posti della classifica nazionale dei redditi, ancorché meno poveri di siciliani, pugliesi e calabresi.
Secondo i dati elaborati dal Centro studi “L'Unione Sarda” su dati Istat, la retribuzione media lorda in Sardegna è di 23.045 euro annui contro i 24.940 della media nazionale. Nella busta paga dei sardi, insomma, mancano circa 1900 euro lordi all'anno, il 7,6 per cento in meno. La retribuzione, è bene chiarirlo, è la somma dello stipendio e delle competenze accessorie e comprende gli oneri previdenziali ed erariali.
Lo stipendio vero, quello che entra in tasca al lavoratore, è in media di 1288 euro al mese per un single e cresce a 1341 se si ha la moglie a carico e, per ogni figlio, di circa 50 euro.
AGRICOLTORI POVERI I dati rivelano che il settore dove le differenze con il resto del paese sono maggiori è quello dei servizi di informazione e comunicazione. Per fare un esempio, un dipendente di un call center in Sardegna guadagna il 22 per cento in meno di un collega che opera in un'altra regione. «Si delocalizza dove il lavoro costa meno e da noi costa meno», spiega Enzo Costa, segretario generale della Cgil.
I più poveri in assoluto sono invece gli agricoltori e i pescatori che hanno uno stipendio lordo rispettivamente di 12.017 e 12.684, meno di 600 euro al mese, mentre i più ricchi sono i dipendenti delle società finanziarie e assicurative (39.330 euro annui) e quelli della Saras le cui retribuzioni lorde ammontano a 36.918 euro. Gli unici stipendi in media con quelli nazionali sono quelli dei docenti.
LE SPIEGAZIONI Ma perché i sardi guadagnano meno? La risposta accomuna tutti, dai sindacati ai rappresentanti delle aziende: le imprese sarde, contrariamente a quelle della Penisola, applicano solo in rari casi i contratti di secondo livello, quelli legati alla produttività. Per questo la loro busta paga è monca. «Dove l'economia tira, i lavoratori hanno la possibilità di guadagnare di più e di avere i cosiddetti superminimi più elevati, dove c'è crisi accade esattamente il contrario», evidenzia Costa. «Chi trova un lavoro qui si ritiene fortunato e si accontenta, in un'area dove c'è più mercato, chi ha un lavoro pensa subito a trovarne uno migliore o a ottenere un aumento di stipendio», aggiunge. «Insomma, se c'è dinamismo nel mercato c'è crescita anche salariale, dove non c'è dinamica accade il contrario. Non solo: la crescita dell'inflazione, oggi del 3,5 per cento, erode rapidamente il potere d'acquisto. Per questo», conclude Costa, «occorre lavorare per rendere dinamico il contesto economico e favorire la crescita».
Francesca Ticca, segretario confederale della Uil sarda, condivide l'analisi e aggiunge. «Oggi la carenza di occupazione fa emergere anche un altro dato che si sta sottovalutando: quello del lavoro nero». In una cosa Ticca si differenzia: «Con il livello di disoccupazione che cresce e le crisi aziendali in atto discutere di salario integrativo mi sembra complicato».
CONFINDUSTRIA «Altro che contratti integrativi, da noi si applicano i disintegrativi», annota Gian Filippo Onnis, responsabile delle relazioni industriali di Confindustria Sardegna meridionale. «La verità è che la contribuzione di secondo livello, che nasce per incentivare i lavoratori a produrre di più per guadagnare di più, per una regione in crisi perenne come la nostra si è rivelata un boomerang». Insomma, i dipendenti sardi sono al minimo tabellare. Si salvano alcune grandi aziende, come la Saras, i cui dipendenti non a caso hanno redditi medi più elevati.
Le considerazioni di Silvana Manurita, segretario generale Confapi Sardegna, sono simili a quelle del collega di Confindustria, con alcune aggiunte: «In Italia nove imprese su dieci sono piccole e questo giustifica la differenza di retribuzioni col resto d'Europa. La Sardegna ha aziende ancora più piccole e più in crisi, da qui la difficoltà a trattare e concedere premi di produttività».
VALORIZZARE MERITO Gli stipendi bassi accomunano, peraltro, dipendenti privati e pubblici che non godono quasi mai di una contrattazione di secondo livello. «I lavoratori pubblici sardi, come del resto quelli del privato, pagano la polverizzazione delle amministrazioni che non riescono a produrre economie di scala e quindi un salario accessorio adeguato a valorizzare il merito e le competenze», spiega Davide Paderi, segretario generale della Cisl Funzione pubblica. «Serve una contrattazione decentrata che leghi il merito territoriale e il miglioramento dei servizi con un parte sempre più importante di salario, proprio come fanno i sindacati tedeschi», aggiunge l'esponente della Cisl. La soluzione? «Bisogna avere il coraggio di ridurre gli sprechi e i costi inutili per rilanciare i servizi e la contrattazione e dare valore al lavoro».
Fabio Manca