Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

La dignità nascosta sotto «Il cappotto»

Fonte: La Nuova Sardegna
30 gennaio 2012



Splendida prova d’attrice di Lia Careddu al Massimo nel testo di Gogol




ENRICO PAU

CAGLIARI. Il Teatro di Sardegna quest’anno ha scelto di caratterizzare le sue produzioni rivolgendo la sua attenzione alla Russia «Il paese dell’anima», come viene definito nel libretto che accompagna un trittico che è cominciato nei giorni scorsi al Massimo con «Il cappotto» di Gogol nell’interpretazione di Lia Careddu. Uno spettacolo importante, soprattutto per via della ottima prova dell’attrice sola in scena. Singolare voce narrante di un racconto che nella migliore tradizione russa, affonda le radici nella potente metafora di una società fondata sull’ingiustizia, sulla miseria. Quella che agli inizi del Novecento, sessant’anni dopo la morte di Nicolaj Vasil’evic Gogol porterà alla più grande rivoluzione della storia europea. Uno spettacolo che Guido De Monticelli ha voluto forse come palestra per la preparazione della prossima produzione del Teatro Stabile, «I Fratelli Karamazov», ma anche l’occasione per un’attrice di talento di uscire, finalmente, da un bozzolo, dentro il quale nel recente passato della compagnia era rimasta imprigionata.
Con le sue qualità non sempre tenute nella giusta considerazione negli anni in cui, quella che si chiamava Cooperativa Teatro di Sardegna, relegava i suoi attori più importanti in ruoli decisamente minori. Dentro un disegno di compagnia che prevedeva l’apporto di grossi nomi a cui affiancare, come semplici comprimari, quegli eterni “giovani”, che con il loro lavoro a volte oscuro hanno consentito al gruppo di tenere la rotta, e arrivare finalmente a quello che oggi è lo Stabile.
Un teatro di gruppo, ancora perfettibile, ma certo su una strada decisamente più affascinante rispetto a quella del passato. Lia Careddu dà corpo alla visione di Gogol che usa l’impiegatuccio Akakij Akakievic come esempio di quella miseria reale e spirituale che affliggeva le classi povere di una società fondata sull’ingiustizia sociale dello zarismo. Una figura eterna, simbolo dei tanti burocrati che spesero la loro vita negli sterminati palazzoni dell’amministrazione dello stato, consumati da un lavoro ripetitivo dentro cui gli spazi umani erano ridottissimi.
Eppure Gogol ci dice, usando la metafora del cappotto, che anche in quell’inferno, l’uomo riesce a trovare la sua dignità, la sua poesia. La chiave registica di De Monticelli, con la collaborazione di Rosalba Ziccheddu, è quella grottesca, e a questa idea la Careddu rimane fedele con la sua voce spostata su un registro basso, ironico, tagliente, parodistico. Una corporeità la sua che si fa maschile grazie al trucco di un cappottone che serve a regalare al narratore/personaggio una fisicità epica eppure insieme clownesca, un clown doloroso e smarrito nei troppi rivoli della vita. Repliche il il 12 e 13 febbraio.