Mostra itinerante: una città di contraddizioni negli scatti in bianco e nero di Rosi Giua
Ci sono i resti fatiscenti dell'ospedale Marino sulla spiaggia di Cagliari, l'immagine surreale di una nave ciclopica attraccata sulla darsena, che sembra fagocitare i passanti sgomenti, il maestro di tai chi sul bastione di Saint Remy, il barbiere del quartiere Marina e Alessandro, il ragazzino che gioca a pallone su un marciapiede di via Meilogu; un taccuino di appunti di vita cittadina, o meglio uno sguardo furtivo lanciato tra le strade di Cagliari alla ricerca dell'inedito e del consueto, dello sradicamento e della metamorfosi. Contraddizioni di una città che Rosi Giua condensa in 10 scatti in bianco e nero, distribuiti su altrettanti pannelli 6 metri x 3 dislocati da via Bacaredda a via Tramontana, da viale Trento al Poetto, da San Benedetto a Monte Mixi.
“Fuoriluogo” è una mostra fotografica dedicata alla città di Cagliari e con la città protagonista, a cura dell'associazione Parolibera, con il patrocinio del Comune e il contributo della Banca di Credito Sardo, sino al 21 novembre. Un appuntamento che a distanza di due anni ripropone l'esperienza maturata a Sant'Elia, scatti solidi su un quartiere periferico. Di nuovo, come allora, una mostra itinerante, un racconto collegato alla città e a chi ci abita, a chi in macchina o a piedi coglie l'attimo fuggente di uno scorcio, di un gesto, di una posa nelle foto a composizione geometrica, sfocato progressivo, inversione orientativa della fotografa cagliaritana.
Non più immagini rassicuranti da cartolina patinata, lo stagno coi suoi fenicotteri, l'antica rocca della città e lo sguardo lungo verso il golfo al tramonto, o le antiche mura che fanno ancora da baluardo a una città arroccata su se stessa. È tempo di fotografia militante, orientata a denunciare la politica dell'irrisolto e dell'incompiuto; è il tempo dello scatto come l'antidoto contro la retorica della cartolina illustrata, come denuncia di una realtà che non si lascia scrutare dalle levigate superfici. Così l'obiettivo scava e rende giustizia, a riprova che la fotografia mostra e non dimostra. Un reportage che si propone come un prisma dalle molto facce, che rivela l'altro sguardo dello scorrimento della vita, focalizza l'attenzione su altri modi di intendere l'immaginario sociale, offrendo una prospettiva composita e mai banale. Per rappresentare l'identità di una città mutante e aperta oppure semplicemente uguale ad altre realtà. Così la nuova dimensione identitaria è plasticamente rappresentata per mezzo di una poetica che costringe a rivelare criticità e contraddizioni con un tocco narrativo di gesti quotidiani e sguardi discreti. E raccontare è già trasformare. Per questo Rosi Giua propone un racconto vissuto che - per dirla come Cartier Bresson - mette sulla stessa linea di mira la testa, l'occhio e il cuore.
Maria Dolores Picciau