Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

«Il Paese oppresso da una dittatura della mediocrità»

Fonte: La Nuova Sardegna
27 ottobre 2011





Il suo libro «Decapitati» è uno specchio della realtà: «Una sit-com o un film di Almodovar»

GIACOMO MAMELI

Aun master che la facoltà di Scienze politiche di Cagliari ha organizzato la scorsa primavera a Nuoro, nella ex questura diventata sede universitaria, uno studente - ragionando sul rebus «Quo vadis, Sardegna?» - ha emesso la sentenza: «La Sardegna arretra, non va in alcuna parte, perché siamo governati da una dittatura di mediocri, in tutti i campi».
Mediocri, scarsi, incapaci, malgovernati solo sotto Punta La Marmora? No, la mediocrità è un malanno di tutta l’Italia. Che nessuno ormai chiama più Belpaese perché se «ha espresso Cavour e Garibaldi, Berlinguer e Craxi, poi Berlusconi e Prodi» adesso siamo «Decapitati» com’è il titolo dell’ultimo libro (Rizzoli) di Giovanni Floris, 44 anni, romano. Libro-boom: terza edizione in dodici giorni dall’uscita. Figlio di Bachisio (padre nuorese-doc di Pont ’e ferru) e di Annamaria Pedaccini (autrice di testi-cult per la comunicazione), da dieci anni sulla tolda di Ballarò, la «più affidabile» delle trasmissioni televisive che la Rai ci consente ancora di apprezzare, domani sarà a Cagliari per partecipare al Premio Alziator e per parlare del suo lavoro con Mario Sechi, direttore de «Il Tempo» ed ex direttore de «L’Unione Sarda» (dicembre 2000-ottobre 2001).
Scrive Floris: «In quale altro momento della storia della Repubblica il presidente del Consiglio avrebbe potuto finire indagato per prostituzione minorile?». E ancora: «Il nostro non è un Paese, è una sit-com, o forse un film di Almodòvar».
- Un po’ di ottimismo, anche dopo i sorrisi beffardi di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy?
«In realtà siamo sempre un grande Paese, ma sotto lo sguardo allibito degli italiani, la trama si arricchisce di nuovi colpi di scena che fanno alzare di continuo la posta: sembra lo scandalo dell’anno e poi... zac, ne arriva uno che lo surclassa. È come una sorta di panna che va montando da anni e a cui sembra che noi italiani stiamo diventando immuni. Mitritadizzati dall’assurdo».
- Perché, per stare alle sue osservazioni, non ci meritiamo questa nostra classe dirigente che governa anche con gestacci e col turpiloquio?
«Confermo. Non ce la meritiamo, ma è colpa nostra se sta là. Perché li abbiamo scelti noi, o perché noi non ci mobilitiamo per sostituirli. Siamo in passaggio di fase, questa classe dirigente ha esaurito il suo ruolo, ma come è anche naturale che sia non accetta di lasciare il posto. E come sempre succede in questi casi sono due i rischi: il primo è sottovalutare le persone che non ci piacciono più, che si consideri passato quel che ancora è il nostro presente. I deludenti leader che vogliamo sostituire sono furbi, occupano posti di potere da cui è facile contrastare il cambiamento».
- Condannati alla mediocrità in aeternum?
«Esiste il rischio di sopravvalutare il nuovo che avanza, o che vorrebbe avanzare. I cambiamenti repentini e radicali portano sempre con sé una selezione approssimativa della nuova dirigenza. Nel ricambio emergono i capipopolo, oppure arriva nella sala di comando chi è bravo solo a criticare il vecchio e non ha idea di come costruire il nuovo. Questa classe politica ha voluto tirare fuori il peggio del Paese, ora dobbiamo scegliercene una che sappia creare il meglio».
- Siamo afflitti, affossati da tanti guai, i giovani sono disperati.
«Il momento è brutto davvero. I mercati non sono la spectre, non sono la Morte nera. Sono l’insieme di tutti i risparmiatori che devono ogni giorno scappare da chi non è affidabile e cercare chi lo è. Quindi abbandonano noi e vanno in Germania. Ogni giorno che noi non diamo l’impressione di essere affidabili il costo della nostra decadenza aumenta. Per questo continuiamo a fare manovre pesantissime e inutili, che preludono solamente ad altre manovre. In questo le responsabilità di Berlusconi sono evidenti, ma la responsabilità dell’arretratezza economica del nostro Paese non è certo solo del centrodestra. Non bastano una maggioranza e una legislatura, ma neanche due o tre, per spiegare le dimensioni della catastrofe di un Paese in cui tra il 2000 e il 2010 la crescita media dell’Italia, misurata in Pil a prezzi costanti, è stata pari ad appena lo 0,25 per cento su base annua. Di tutti i Paesi del mondo, solo Haiti e Zimbabwe hanno fatto peggio».
- Chi salverà il Paese? L’Italia ha vissuto altre tragedie e ne è saputa uscire.
«Per fortuna c’è il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che al momento rassicura l’Italia e gli altri Paesi. L’Europa nel ’92 ci svegliò e ci disse che non avremmo potuto continuare a vivere accendendo debiti sulle spalle dei nostri figli. Adesso i mercati ci dicono che se continuiamo a non pensare a noi stessi, verremo cacciati dal consesso delle persone che vivono bene e sperano di poter vivere meglio in futuro. Ci dicono, come fecero 20 anni fa, che dobbiamo liberalizzare e qualificare la spesa. Che dobbiamo investire in noi stessi, nelle nostre menti, puntando sulla scuola e sull’università, cercando di migliorare la qualità dei cittadini italiani».
- Quali leader vede per il futuro?
«Se devo pensare al leader del futuro mi piace pensare a Piero Gobetti un uomo che ha difeso la propria libertà di giudizio fino alla morte, decretata ed ottenuta dal fascismo, a Giuseppe Di Vittorio, che nato bracciante ha saputo, studiando, ribellarsi al proprio destino e diventare statista. Penso ad Alcide De gasperi, un uomo che ha saputo tirarci fuori dalle macerie della seconda guerra mondiale solo con l’impegno e il suo carisma da persona normale. Secondo me il leader del futuro nasce solo se il Paese sarà in grado di tornare a costruirsi un futuro».
- È sempre necessario pensare a un capo, dobbiamo sempre essere eterodiretti?
«Può essere utile in certi momenti, ma all’Italia non serve un leader forte. L’Italia è un Paese in cui i giovani non lavorano, in cui girano 255 miliardi di euro al nero, in cui la soglia della povertà lambisce quelli che una volta erano i ceti medi, ed in cui un giovane meritevole che voglia costruirsi il proprio futuro studiando non ha speranza almeno fino ai 35 anni di avere un reddito sufficiente per mettere su famiglia. All’Italia non serve un leader forte, all’Italia serve di tornare a essere un Paese forte. Poi, un Paese forte il leader se lo sa scegliere».
- Il nuovo leader uscirà dagli schermi tv?
«Non possono essere i talk show a creare una classe dirigente. I talk show registrano la realtà, se possono la fiutano prima di altri, ma non la creano. Una televisione che avesse come missione quella di creare leader sarebbe una televisione profondamente malata, antidemocratica e sbagliata. Il leader lo deve scegliere l’elettore: che, quando ha la matita in pugno dentro un seggio, deve essere cosciente del suo potere».