Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Herat, sposi grazie ai sardi

Fonte: L'Unione Sarda
5 settembre 2011

L'associazione che riunisce i militari dell'Isola aiuta il popolo afgano

 

Il circolo “A. Pibiri” paga la dote a una coppia
Vedi la foto Il destino di una giovane donna afghana sembrava segnato: la sua famiglia aveva deciso per lei, chiudendo un accordo matrimoniale. Doveva essere la sposa di un anziano “signorotto” di Herat. Impossibile seguire il cuore che la portava tra le braccia di un altro ragazzo, responsabile solo di non avere i soldi per la dote. Una storia d'amore a lieto fine grazie a un insolito Cupido : il circolo dei sardi di Herat “Alessandro Pibiri”. Con una serata di beneficenza i soldati isolani, in missione in Afghanistan, hanno raccolto il denaro sufficiente per far sposare i due giovani. Così il loro matrimonio, come ringraziamento, è stato celebrato davanti a una bandiera con i Quattro Mori.
È solo l'ultimo atto di generosità del circolo dedicato ad Alessandro Pibiri, il caporal maggiore di Selargius ucciso in un attentato a Nassiriya il 5 giugno 2006. «Sempre ad agosto», spiega Ivan Mancosu, maresciallo cagliaritano dell'Aeronautica militare, attuale presidente del circolo e in servizio a Herat, «abbiamo donato generi alimentari, prodotti per la pulizia e igiene personale per 240 bambini nell'orfanotrofio di Herat. È dal 2005 che il circolo contribuisce alla realizzazione di numerosi progetti finalizzati ad aiutare concretamente la popolazione afghana ed in modo particolare le donne ed i bimbi».
LE DONAZIONI Così in questi anni i militari sardi, oltre a ricostruire un pezzo di Sardegna lontano dall'Isola, hanno fatto del bene alla popolazione afghana: donando apparecchi acustici a donne e a bambini che avevano subito lesioni ai timpani dovute all'esplosione di ordigni, regalando tre letti per partorienti e sei culle per neonati all'ospedale pediatrico di Herat, contribuendo alla costruzione di pozzi in decine di villaggi. «L'ultima consegna all'orfanotrofio», racconta Mancosu da Herat, «è stata particolare e toccante. È stato meraviglioso partecipare ad un momento di gioia per questi bambini che non vivono in una situazione agevole».
Il circolo ha circa 350 iscritti (attualmente ad Herat sono presenti 80 soci). Fondato nel 2005 da Massimiliano Piras di Carbonia e Andrea Castagna di Nuoro e da altri amici sardi con il nome di Terra nostra, dal 23 ottobre 2008 è stato intitolato ad Alessandro Pibiri deceduto il 5 giugno 2006. Una decisione presa dai 110 sardi presenti nella base Isaf di Herat. Quello che non è mai cambiato è lo spirito: continuare a regalare una speranza a chi soffre. «Il nostro prossimo obiettivo», aggiunge il maresciallo cagliaritano, «è quello di permettere ad un bambino afghano di poter effettuare un trapianto. Ci stiamo muovendo. Speriamo di coinvolgere in questa iniziativa le istituzione e il Cagliari calcio. Vedere in faccia la sofferenza devastante di queste persone ti spinge a tentare di far qualcosa per loro».
IL RACCONTO È così che i soldati sardi tengono alto l'onore della Sardegna. Una missione di pace, ma pur sempre militare e quindi con tutti i pericoli che ne conseguono, che si trasforma in solidarietà e beneficenza. «La popolazione locale», continua Mancosu, «è in difficoltà ma ha tanta voglia di risollevarsi dopo gli anni di guerra. È un popolo forte e tenace. Ama la propria terra, il proprio paese». Con le forze armate straniere c'è una iniziale diffidenza: «Chi non lo sarebbe se fosse invaso. Poi le persone capiscono che siamo qui per aiutarli. Quando conquisti la loro fiducia ti rendi conto che sono un gran bel popolo».
Chi va in missione da quelle parti impiega poco a condividere lo spirito di solidarietà del circolo: «Vedono con i loro occhi la desolazione in cui queste persone vivono. Così tutti i militari sardi aderiscono spontaneamente all'autotassazione che ci permette di realizzare i progetti».
Ivan Mancosu, quando tornerà a Cagliari, nel quartiere di Sant'Elia, si poterà con sé «gli occhi delle donne coperte dal burqa e dei bambini che ti guardano chiedendoti: perché?».
Matteo Vercelli