Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Feste e “schironate”: quelle estati irripetibili all'ombra dei casotti»

Fonte: L'Unione Sarda
8 agosto 2011

Parla l'imprenditore balneare Antonio Congera

I casotti, i tram con i picciocheddus attaccati sul retro, che allora si chiamavano solo imboskati e non, come oggi, portoghesi, le schironate e le fritture tra le dune, le corse dei sacchi a Ferragosto.
Viene voglia di riviverla, la storia di quel Poetto con la sabbia bianca. Quel luogo dove a metà giugno, con la fine delle scuole, i ricchi si trasferivano nelle ville, gli altri - e la borghesia non era esclusa - negli stabilimenti o nei 1200 casotti, dove si dormiva anche se non si poteva. Un vero posto di villeggiatura, allora.
Umberto Congera, classe 1920, originario di Seui, al Poetto aveva un chiosco in legno e un casotto. Era il 1952. Lui e la moglie Ada dormivano nel locale, i sette figli nel casotto attiguo e in quelli di alcuni amici. Il bar era dopo il vecchio ospedale Marino e quando lo aprì la strada era ancora bianca. Vendeva vino sfuso, pane, olive, birre, formaggio. Una bottega. Poi iniziò a produrre prosciutti e la gente che arrivava dai paesi spesso restava a cenare da lui dopo una giornata al mare.
«Vivevamo al Poetto», racconta il figlio Antonio, quarantanovenne ed erede di quell'attività che oggi è diventata “Il Capolinea”. «Ricordo le cene luculliane, da noi o nei casotti degli amici. C'era sempre qualcuno che andava a pescare con il pattìno o la barchetta e tornava con chili di pesce che friggevamo o arrostivamo. Ma il periodo più bello era quello di Ferragosto. C'era una sorta di capo condomino che andava in giro tra centinaia di famiglie a fare la colletta per la festa, che durava una settimana. Non servivano per comprare cibo, al quale ognuno contribuiva come voleva, ma per acquistare i giochi per i bambini. Si faceva l'albero della cuccagna, la corsa dei sacchi e quella campestre, le gare di nuoto e i “gran premi” con le biglie di vetro: il tracciato della pista veniva realizzato trascinando “di culo” uno di noi. Mio padre», racconta Congera, «aveva anche costruito una giostra con i telai di vecchie biciclette. Per salirci noi bambini non pagavamo, gli adulti dovevano versare dieci lire per dieci giri. La festa durava una settimana, ma il clou era il 14 e il 15 notte quando si esibiva anche il gruppo musicale di tale Comparetti e gli adulti ballavano sulla spiaggia mentre i ragazzi più grandi facevano l' indianata attorno al fogarone e i più piccoli giocavano a nascondino tra i casotti. Ricordo tavolate da ottanta metri, seduti sulle casse di birra Ichnusa, le angurie conservate sotto la sabbia perché freddassero, l'odore delle lampade a carburo. E ricordo che passeggiavo tra i casotti e sentivo in ognuno un odore diverso fuoriuscire dalle cucine».
Al Poetto, tra quelle colorate palafitte, quando le dune erano così alte che dalla strada non si vedeva il mare, si costruivano amicizie incrollabili e interclassiste. «Ero amico del figlio dell'ingegnere come di quello del bidello».
Antonio Congera ricorda quando tutti, a maggio, verniciavano i casotti cambiando quasi sempre colore e sperimentandone di più belli, ricorda quanto erano riparati dai venti. Non può dimenticare quel giorno, alla fine del 1985, in cui arrivò una lettera dal Comune: si demolisce. Una decisione inevitabile, motivata da ragioni igieniche. «Ci diedero due mesi di tempo per smontarli. Molti lo fecero, altri non credevano che sarebbe mai accaduto e li lasciarono in piedi. Quando arrivarono le ruspe vidi gente disperata, le lacrime, i ricordi di una vita che sfumavano. Al Poetto, quel giorno dell'86, andai di nascosto dai miei genitori, in pullman. Mio padre ce lo aveva proibito, non voleva farci soffrire».
Da allora inizia un'altra storia. La sabbia che, senza la barriera rappresentata casotti, si disperde, l'erosione, il ripascimento. (f.ma.)

 

Dal 1913 al 1986, la suggestiva era delle palafitte
Un'organizzazione selvaggia
e un caos durati oltre settant'anni
Il 1913 fu il primo anno in cui i cagliaritani trascorsero l'estate al Poetto. Quella di traslocare da Giorgino alla spiaggia attuale non fu una scelta ma, come racconta Giancarlo Cao ne “La città estiva. Dal paesaggio dei casotti al nuovo Poetto 1979-1999”, «nacque da una spinta eccezionale e spontanea, fondata sulle esigenze vive di una popolazione alla ricerca di una nuova frontiera balneare» e per oltre settant'anni fu caratterizzata da «un equilibrio casuale e un'organizzazione selvaggia oggi impensabili». A questo caos contribuirono i casotti. Che, scrive Cao, «nei principi estetico-funzionali cui si ispiravano, rimangono un esempio, un'idea-guida di architettura del paesaggio». Non a caso ispireranno (nel litorale il bar-stabilimento Emerson ne è un esempio interessante) i futuri baretti.
Quando il Comune emise l'ordinanza di demolizione ci fu chi li smontò e li portò altrove. Oggi decine di casotti vivono ancora: sono bungalow per clienti all'interno dei camping, rifugi in campagna, ospitano attrezzi in terreni semiabbandonati, sono diventati case per giochi dei bambini all'interno di grandi giardini in mezzo Campidano. C'è chi li cura, pulendoli e verniciandoli ogni anno, chi li ha abbandonati, come avevano fatto molti proprietari negli ultimi anni. Le foto di Cao, alcune delle quali testimoniano com'era la città estiva alla vigilia dell'arrivo delle ruspe, mostrano casotti perfetti e casotti semidistrutti dall'incuria. Ma comunque belli.