Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Sant'Elia, la faccia onesta del quartiere

Fonte: L'Unione Sarda
1 settembre 2008

Parlano le cooperative che lavorano in un rione dove l'occupazione è un miraggio

Non solo spacciatori: «C'è chi lotta per togliersi il marchio»
C'è un'altra faccia di un rione dove trovare lavoro è un miraggio.
Per i ragazzi di Sant'Elia il primo scoglio arriva alle scuole medie: «Molti hanno vergogna a dire ai compagni dove abitano», racconta Daniela Piras, direttrice del Lazzaretto. Il marchio va via a fatica: spunta fuori come un tatuaggio, quando si cerca lavoro e si presenta un curriculum. «È difficile andare avanti. Ecco perché è giusto ricordare che nel rione c'è un sacco di gente che si spacca la schiena. E soffre per colpa dei delinquenti».
La radiografia di un quartiere non si deve fermare a numeri impressionanti (circa tremila persone, un residente su quattro degli impiegati nel business dello spaccio). C'è un'altra faccia di un rione povero ma bello («lo sviluppo di Cagliari passa da questo promontorio», ama ripetere il parroco-sindaco, monsignor Marco Lai), fatto di persone oneste che tutti i giorni si tappano il naso e vanno avanti.
Una delle ultime prove è il consorzio “Il Borgo”, composto da alcune aziende di Sant'Elia, dove lavorano 25 abitanti e che si occupa di «ristrutturazioni, manutenzioni e impiantisti elettrici e idraulici. Altre imprese di occupano di traslochi e pulizia», sottolinea Daniela Piras.
L'altra ancora è il Lazzaretto: «Abbiamo dimostrato che sappiamo tutelare e conservare i beni culturali».
OCCHI CHIUSI Insomma, in via Schiavazzi e dintorni non si vive solo di coca e hashish. «Vivo a Sant'Elia da vent'anni. Non ci sono solo i pusher: i palazzoni sono fatti anche di gente che si sveglia alle sei del mattino e lavora tutto il giorno. Gente che per quieto vivere fa finta di niente. Molti ormai si sono abituati». I lati positivi? «Questo è un posto dove è difficile uscire di casa senza salutare nessuno, c'è un livello di umanità che non esiste da nessuna altra parte».
LA COOPERATIVA Paolo Melis, in 8 anni di attività con la sua cooperativa di pescatori (la “Venere”), ha toccato con mano cosa vuol dire essere predestinati. Nel senso: le alternative sono poche, o si spaccia o si spaccia. «Il 99 per cento di questi ragazzi lo fa perché non ha scelta. C'è poco lavoro e in più è quasi impossibile trovarlo per chi abita qui». Alla sua società vengono affidati dal Tribunale di Cagliari i ragazzi del quartiere arrestati.
Molti, troppi, per lo stesso motivo. «Ora ho sette persone che vengono a pesca con me e ricevono uno stipendio di 8-900 euro. Ma sono sicuro che a loro basterebbe molto meno per non ricadere nella tentazione. Dal 2000 a oggi mi sono stati affidati più di cento ragazzi, tutti di Sant'Elia». E tutti arrivano da un mondo che li ha spremuti come un limone e buttati: chi faceva la vedetta, chi portava i panetti. Oppure chi ha custodito in casa per una settimana una busta di cocaina e ha ottenuto 250 euro e un arresto. Ma ora cerca di dimenticare. Il programma è sempre lo stesso: sveglia alle 4, si esce in mare, si pesca. Una barca da 16 metri a disposizione, oppure, come in questo periodo di fermo biologico, si sale su 6 barche più piccole. Melis sostiene che la svolta arriverà, e che verrà aiutata dal porticciolo: «È l'unica possibilità per dare lavoro ai ragazzi e creare un'alternativa allo spaccio». Che nei pilotis dei palazzi Bodano e Gariazzo continua ad essere organizzato meglio che in un supermarket: orario continuato, si inizia alle 9 e si finisce, il sabato, alle 3 del mattino. «Per vivere lì bisogna vedere e non vedere, è normale. Ma quei ragazzi non vanno solo attaccati. Bisogna anche difenderli, tanti non sanno dove sbattere la testa e vanno per quella strada». Un percorso che ormai si inizia da bambini. Dodici, tredici anni. Non di più.
MICHELE RUFFI

31/08/2008