Sconfitti in giudizio i presidi delle scuole di Sant’Elia e Is Mirrionis
CAGLIARI. L’arte cinematografica ha prevalso sulla burocrazia: il Tar ha dato ragione al regista Salvatore Mereu, che malgrado il successo internazionale del suo film «Tajabone» girato trasformando in attori i ragazzi di due scuole medie cagliaritane, non era riuscito ad avere dai presidi le liberatorie necessarie per diffondere il suo lavoro. I giudici della seconda sezione - presidente Rosa Panunzio, estensore Francesco Scano, consigliere Marco Lensi - hanno accolto i due ricorsi presentati dall’avvocato Raffaele Soddu e hanno disposto che i documenti depositati all’istituto Don Milani-Tuveri di via Schiavazzi e al Francesco Ciusa di via Meilogu vengano messi a disposizione del regista in quanto atti pubblici. I due istituti, difesi dall’Avvocatura dello Stato, dovranno pagare tremila euro di spese.
La vicenda ha connotati paradossali e nasce con l’idea di Mereu di mettere insieme due cortometraggi intitolati «Via Schiavazzi» e «via Meilogu 18» sulla vita nelle periferie cagliaritane, a Sant’Elia e a Is Mirrionis. Un lavoro realizzato grazie a un modesto contributo regionale, che offre un’esperienza unica ai ragazzi-protagonisti delle storie e riscuote consensi alla mostra del cinema di Venezia del 2010, dove viene accolto con una standing ovation. Il film finisce anche tra i premiati della quarta edizione degli Uk-Italy Business Awards e diventa un caso artistico. Ma dietro questo successo, costruito su un’opera «povera» ma significativa, si delinea un confronto-scontro con i dirigenti delle due scuole: il regista di Dorgali chiede che le segreterie gli passino una copia delle liberatorie firmate dalle famiglie dei ragazzi, tutti minorenni, perchè il film possa girare per le sale cinematografiche. Ma i due presidi Valentina Savona e Giancarlo Della Corte, gliele negano.
Qui entrano in gioco gli aspetti legali della vicenda, che assume tratti sbalorditivi: per cercare una soluzione il 9 dicembre 2010 Mereu presenta una richiesta d’accesso agli atti agli uffici delle due scuole, che rispondono con altrettante note di diniego. Il braccio di ferro si sposta allora sul fronte della giustizia amministrativa: l’avvocato Soddu deposita due ricorsi alla cancelleria del Tar, per gli istituti scolastici scende in campo l’Avvocatura dello Stato - impegnata a difendere non si sa bene quale interesse pubblico - e a distanza di quasi sei mesi i giudici chiudono la questione con una sentenza che non lascia spazio al dubbio. Se l’Avvocatura dello Stato sosteneva che Mereu non avesse «legittimazione a richiedere» la copia delle liberatorie, il Tar ha tagliato corto affermando che quest’aspetto è irrilevante: «L’accoglimento delle richieste di accesso - scrive il giudice estensore - non può essere condizionato da valutazioni circa l’esistenza di una posizione di interesse legittimo tutelabile in sede giurisdizionale e tantomeno da valutazioni sulla fondatezza della pretesa alla cui tutela l’acquisizione della documentazione è strumentale». In sostanza i giudici affermano che l’obbligo di trasparenza sugli atti e il diritto dei cittadini all’accesso prevalgono su qualsiasi altra esigenza. E lo Stato si trova costretto a pagare spese di giudizio per aver voluto contrastare un diritto stabilito chiaramente con le sue stesse norme.
Mereu quindi - forse ormai fuori tempo massimo - potrà avere le liberatorie e far proiettare il suo «Tajabone» senza alcun patema d’animo: il consenso degli attori è certificato. (m.l)