Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

“Giochi di famiglia” Quattro bambini sul prato senza fiori

Fonte: L'Unione Sarda
15 aprile 2011

TEATRO
MAGELLI. Al Massimo di Cagliari


«Viviamo un momento anti utopico in cui non riusciamo a sognare un mondo nuovo. Come in una barca che viaggia in un mare notturno senza riuscire a trovare un faro nel suo percorso non solo geografico ma anche politico». Paolo Magelli, arrivato a Cagliari, parla di “una depressione collettiva” che ci attanaglia tutti, ma lo fa con una voce piena di una consapevolezza teatrale e umana di portata cosmopolita.
Già negli anni Settanta, il regista che per primo diresse nel 1972 l'esordiente Benigni e che fu assistente e collaboratore di Strehler, esce dai confini a caccia degli epicentri dell'avanguardia. E all'estero ottiene successo e numerosissimi premi. Sui classici, lui che venne acclamato a Parigi per “I giganti della Montagna” di Pirandello, dice che «avrebbero bisogno di una lavata». Intanto per ora - è una questione di urgenze - deve stare incollato a un contemporaneo brutale da mettere a setaccio. Lo fa, ancora una volta, con un lavoro della drammaturga serba Biljana Srbljanovic in una produzione del Teatro Metastasio di Prato intitolata “La trilogia di Belgrado - parte I: Giochi di famiglia”.
Sul palco del teatro Massimo, a partire da stasera alle 21, dirige Valentina Banci, Francesco Borchi, Elisa Cecilia Langone, Mauro Malinverno e Fabio Mascagni. E si replica domani (ore 17 e ore 21) e domenica (alle 19).
Magelli si era già cimentato con altri testi della scrittrice assai critica contro il regime del suo Paese che in Italia divenne famosa per le pagine del diario della città bombardata apparse sul quotidiano la Repubblica . Prima con la messinscena di “Supermarket”, quindi di “Barbelo” con cui qualche mese fa ha vinto il premio per la migliore regia a Novi Sad, nel festival sulla drammaturgia dei Paesi della ex Jugoslavia.
«“Giochi di famiglia” analizza diverse classi sociali e questo è il bello dello spettacolo. Il brutto è che non appare speranza nella degenerazione esistenziale e politica vista attraverso la famiglia». Il lavoro vede quattro bimbi soli che giocano a fare gli adulti in una periferia degradata di una qualsiasi città europea. I protagonisti aderiranno alla cattiveria del mondo, pur nella voglia di scappare dai luoghi di nascita per sfuggire a un'identità con la quale si è comunque costretti a confrontarsi. A teatro il conflitto tra culture. «Due parole stanno soffrendo da morire: tolleranza, che suggerisce intolleranza, e integrazione che sembra dire assimilazione. Che prato è quello dove leviamo i fiori che non ci piacciono?».
MANUELA VACCA