Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

A Sella Dimòniu con Bruno Tognolini

Fonte: L'Unione Sarda
6 maggio 2008

Ambientato in una minacciosa Sardegna del futuro il suo romanzo “Lunamoonda”
A Sella Dimòniu con Bruno Tognolini

Sella Dimòniu, calcare bianco intarsiato di fiori, a picco sul mare profondo, dove cantano le cozze e, fra gli scogli a fior d'acqua nuotano i murmungioni, pesci biotecno in missione di spionaggio. Ad est, le rovine del porto di Marina Minore e la spiaggia de Poetas. A ovest, in lontananza, la centrale nucleare di Poola. Più sotto, il ghetto di Muru Muru, infelice avamposto della metropoli Neonora, già Carales, governata dalla Nuova architettura sociale, familiarmente Nassa: una rete telematica multicolore onnisciente e soffocante che controlla e previene i desideri e i bisogni dei suoi cittadini.
A Sella Dimòniu c'è la Tana degli ski-lellè Lunamoonda, mocciosi di strada, prodotti mal riusciti dell'ingegneria genetica, piccole prostitute, magazzini viventi di pezzi di ricambio per ragazzi ricchi.
Questa banda fatta di scarti post-umani riuscirà a dare scacco al Grande Fratello (che qui è un grande Babbo) con la poesia, la danza, la bellezza. E con l'aiuto di un Sant'Efisio inedito. Custodito e invocato con fede che trascende tanto l'ortodossia della Chiesa quanto quella di Linneo: «Santu Èphis!» / «Master noster» / «Virus e Virtus» / «Cavara e Cambara».
È ambientato in una minacciosa Sardegna del futuro Lunamoonda , il secondo romanzo dello scrittore cagliaritano-bolognese Bruno Tognolini, appena pubblicato dalla Salani Editore (euro 14.80). Un incubo biotecnologico dove l'uomo «nel costruire macchine forti a cui unirsi perché lo arricchiscano e lo aumentino, ha ridotto se stesso in povere forme diminuite». Un'utopia negativa che ha messo radici sotto i nostri occhi distratti di cittadini del XXI secolo, perché «un'era che disprezza i maestri dei suoi figli e che chiama i suoi adulti consumatori (...) non poteva in tutta onestà ambire ad altro che a varie forme di uomo impoverito».
Ma Tognolini, un ragazzo di 57 anni che da 20 scrive per bambini e adolescenti, non accetta che il male abbia la meglio. E nel titolo del romanzo c'è già in sintesi lo sberleffo che disperde l'incubo. Col gioco della membra (Lunamonda) e quello delle parole (Luna- Moon) che evocano e stupiscono, divertono, presagiscono, cullano. Spiazzano. Non sono mai quello che sembrano.
Lunamoonda parla la lingua degli ski-lellè, ibrida come loro. Una lingua che per i lettori sardi ha un gusto particolare: sapore di casa.
I monelli vivono soli nella Tana sul mare, come i bambini perduti di Peter Pan. Per nutrirsi coltivano verdure e frutti, pescano, o si approvvigionano con bardane nei negozi, mandando in scimpru (da SCIM, Stato controllato di interruzione momentanea) tanto i sistemi d'allarme quanto i ghigni, cioè i terminali spioni della Nassa. Per far poi ritorno col bottino al furistere, rifugio di ladruncoli, ma anche dei devoti di un santo guerriero. Che ieri ha sconfitto la peste, ma domani si riscoprirà virus. In che modo non possiamo anticiparlo, per non guastare la lettura del libro.
Giocoliere di parole, cesellatore di filastrocche, architetto di storie multimediali, Tognolini ha una capacità di piegare l'italiano ai suoi desideri che è rarissima da trovare, anche in altri scrittori premiati e famosi. In Lunamoonda sperimenta una via nuova e insieme conosciuta, ritornando all'atmosfera meticcia dell'infanzia e dell'adolescenza: l'italiano della famiglia e della scuola, il sardo del mondo intorno. Non sappiamo come la prenderanno i lettori d'oltre Tirreno, ma noi sardi - di ascendenza pellita, punico-romana o altro - ci godiamo il surplus semantico e un senso di complicità con l'autore. Certe battute, le capiamo solo noi, quindi siamo un po' ski-lellè Lunamoonda...
Si chiama Giaime Sercaluna il capo della banda: ha sputo velenoso (a causa di una una nuova malattia continentale da cui in genere nessuno mai guariva) e mira infallibile. Momoti è la bimba dalle labbra pelose, prodotta incrociando animali; Maureddin il cuoco arabo, Bentus il flautista, Break Bruju il ballerino. Faula è il nome poetico e crudele della "Figurina doppia", nata e cresciuta per donare i suoi organi a un originale; educata a non avere personalità, così le sarà più facile diventare un pezzo di qualcun altro.
Il mare di Cala Figuera o la Casina Sacchetti abbiamo la sensazione di averli già visti. A Plaza Carmèn ci siamo già stati. Come familiare è il percorso lungo la Carrela Oriental. Anche se, quando crediamo di conoscere la pista, il terreno si fa insidioso. I Sette Fratelli sono diventati sei: uno è stato distrutto in un'operazione antincendio. Il Monte Ferru è composto di tecnorifiuti: lo scavano senza posa uomini piccoli e neri, «pelli indurite di piombo e mercurio e cadmio e altri veleni» in cerca di banchi di memoria compromettenti, da vendere ai trafficanti di dati di Neonora. E Kokkorrocci, «la celebre spiaggia», meta dell'atteso raduno di Ski-lellè, è «un'immensa discarica di chip». Dove «ormai frantumate e levigate dal lavorio del mare, miliardi di piccole schegge di chip di silicio, e litio e gallio e berillio e altre pietre pensanti, si mescolavano alla minuscola graniglia di rocce macinate che formava quell'arenile dai colori d'incanto: bianchi di quarzo, rossi di porfido, neri d'ardesia e verdi e magenta e turchesi e azzurri di chip». E le onde raccolgono i dati disciolti, un tempo affidati ai computer, e i bagnanti non sanno più se pensano e sognano vite proprie o altrui.
Fra battute esplosive e trovate esilaranti, l'autore racconta una classica storia di amicizia, coraggio, tradimento. Fuga e ritorno. Primi amori, maturità conquistata. Piacerà a giovani adulti predisposti alla critica sociale, con un forte senso dell'ironia e il gusto per una prosa dal ritmo mai banale, mai prevedibile. Ma anche a genitori e zii che - se born in Shardenya - ci scaveranno dentro come i minatori di dati. In cerca di profumi e colori noti; di leggende metropolitane condivise; di teorie (fanta) scientifiche, libri, musiche e film che abbiano lasciato traccia, consapevole o meno, in Lunamoonda . Lo scrittore Tognolini riconosce un debito verso l'Ishiguro di Non lasciarmi e L'Interprete di Diego Marani; nonché verso un bel po' di letteratura variamente scientifica (Rifkin, Habermas, Lewontin, i transumanisti del curioso sito www. Estropico.com,) e il regista Gabriele Salvatores (con il quale ha lavorato al video gioco di Nirvana ). E verso le mille storie di carta o celluloide che lavorano non riconosciute nell'inconscio profondo, sebbene trame e autori ormai sfuggano alla memoria.
Ma il lettore legge, ben oltre l'intento dello scrittore, un proprio personale romanzo. E sfoglia le pagine in cerca delle fonti comuni. Perché il narratore di Lunamoonda evoca qua e là i suoi antenati Tolkien e Shakespeare; perché Arasulé non può essere nome casuale per un poeta; perché Neonora si affaccia sul golfo de Los Angeles con la sua popolazione di biotecnomaghi e mutanti come in una versione di Blade Runner inondata di sole; perché su dillu è sempre con noi ed Eno è tornato; perché... Si può continuare all'infinito. Perché in fondo un romanzo riuscito è come un bagno del tramonto a Kokkorrocci, fra le onde sature di dati disciolti, leggende antiche, cronache odierne, presagi di futuro. E come si fa a sapere chi ha lasciato che cosa, nella sabbia minuta e multicolore, fra i bianchi di quarzo, i rossi di porfido e i turchesi di chip?
DANIELA PINNA