Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Sant'Elia, la festa per la D dura poco

Fonte: L'Unione Sarda
29 marzo 2011

CALCIO. La borgata celebra la promozione. «Per una volta non si parla di cronaca nera»

Il quartiere pensa ai suoi problemi, la società è senza campo

«Contento? Certo, per una volta si parla di Sant'Elia non nelle pagine di cronaca nera». Nel borgo cittadino è un lunedì qualunque. No, è un lunedì diverso: la squadra del quartiere ha conquistato la promozione in serie D. E nei capannelli che si formano intorno ai pochi locali aperti si parla anche dell'impresa sportiva. «Almeno nello sport», riprende Davide Aresu che chiacchiera con un amico davanti a un bar del borgo vecchio, «contiamo qualcosa».
I GIORNALI Che sia un lunedì uguale a tanti altri eppure diverso lo testimonia, indirettamente, anche l'edicolante che lavora davanti al Lazzaretto (chiuso, come tutti i centri museali in questo giorno). «Mi avevano detto che avrei venduto più copie de L'Unione Sarda . Invece, ne ho venduto lo stesso numero». Peccato che la donna, evidentemente inesperta di sport, non sappia che domenica il Cagliari non ha giocato: da quelle parti, dunque, i successi della formazione rossoblù valgono quanto quelli del Progetto Sant'Elia.
IL QUARTIERE La voglia di festeggiare sarebbe altissima. Ma, da queste parti, lo sport può tenere bando soltanto la domenica. Il lunedì ci sono ben altri problemi da risolvere. «Ho portato miei figli alla partita», racconta Giuseppe Contu, impegnato a chiacchierare con gli amici al Marcus bar, in via Schiavazzi, «e ci siamo divertiti. Ma ora ho ben altri problemi per la testa». Mica roba da poco. «Per quindici anni ho lavorato come padroncino. Poi, con l'arrivo delle cooperative, mi sono ritrovato disoccupato. E ora non so come mantenere i miei cinque figli».
IL PASSAPORTO Disoccupazione, delinquenza: un luogo comune difficile da sfatare a Cagliari. «Pensate», interviene Lucia Portoghese, la proprietaria del bar, «che una mia amica non riusciva a trovare lavoro perché, ogni volta che vedevano che era di Sant'Elia, le chiudevano le porte in faccia. È stata costretta a cambiare residenza: ora, ufficialmente, abita dalla zia in un'altra parte della città. E lavora». Come gioire, dunque, per un successo sportivo? «È una bella soddisfazione per la borgata. Ma non risolve certo i nostri problemi», conclude Contu.
LE DISCRIMINAZIONI L'essere considerati quasi come paria dal resto della città, per esempio. «Qualche settimana fa», racconta il gestore di un locale in via Schiavazzi, «ci siamo ritrovati sui giornali perché il nostro sarebbe stato il “bar dello spaccio”. In realtà, avevamo due canne che utilizza mio zio per lenire i dolori provocati da una grave malattia. Pensate che avremmo avuto lo stesso trattamento se fossimo stati in un'altra parte della città?». Forse no. Ma alcuni residenti di Sant'Elia hanno alimentato il mito. «In passato, forse. Ora è diventato un quartiere come gli altri. Certo, ci sono delinquenti. Ma ci sono anche tantissime persone oneste».
IL CAMPO Tante voci, gli stessi concetti. Sia nella parte nuova di Sant'Elia, quella dei palazzoni, sia in quella vecchia, del borgo. «Al campo», dice Luigi Cabras, «c'erano un sacco di politici. Noi esistiamo soltanto quando ci sono voti da ottenere. Ma dove sono quando abbiamo bisogno di aiuto?». E non si parla soltanto di lavoro. Cabras mostra due ruderi nei pressi della chiesa. «Ci avevano promesso che sarebbero stati ristrutturati per trasformarli, magari, in piccole botteghe. Sono ancora così». E, alla fine, anche la squadra finisce con l'assumere per osmosi gli stessi problemi del quartiere. A Sant'Elia ci sono tante persone senza casa. «E anche il Progetto Sant'Elia», conclude Francesco Loi, «rischia di rimanere senza casa. Per quanto ne so, il campo non è omologato per la serie D. Il quartiere ha vinto un campionato e rischia di perdere la squadra. Dove giocheremo l'anno prossimo?».
MARCELLO COCCO

 

IL REGOLAMENTO. Il terreno di gioco non è omologato per i tornei nazionali
Un ispettore da Roma per avere una deroga
La squadra vincente verrà costruita, garantisce il presidente Franco Cardia. Chissà, però, dove il Progetto Sant'Elia giocherà il campionato di serie D. Perché il campo dove la squadra ha conquistato la promozione non può essere omologato per i tornei nazionali. Le regole sono ferree: un terreno di gioco per la serie D è sottoposto alla stessa normativa che vale per la serie A. Invece, il campo attuale ha alcune carenze: non è dotato di un settore riservato agli ospiti e ha dimensioni non regolamentari.
Problemi che, comunque, possono essere risolti, almeno parzialmente: i campi devono misurare 105 per 65 metri; quello del Sant'Elia ha cinque metri in meno sia in lunghezza che in larghezza. In casi eccezionali, però, il regolamento stabilisce che le misure possano essere ridotte a 100 per 60; dunque, il Progetto Sant'Elia potrebbe rientrare.
Nei prossimi giorni, sarà in città un ispettore federale proprio per capire se può essere concessa una deroga. Evento possibile. Ma le deroghe vengono concesse solo se si sta lavorando per adattare i campi ai regolamenti. Un problema visto che il terreno è comunale: gli interventi competerebbero all'amministrazione. Altre soluzioni? Cardia non vuole proprio considerare la possibilità di giocare al Sant'Elia. ( mar.co. )

 

PRECEDENTI. La Palma in C
L'Atletico degli Orrù
e la strana alleanza
Sant'Avendrace-Cep
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Ci era riuscito il quartiere La Palma e, in tempi più recenti, il rione di Sant'Avendrace (alleato con il Cep). E ora è il turno di Sant'Elia: un altro quartiere imita il “modello Chievo” e approda alla serie D. Due tentativi che, per una ragione o per l'altra, si sono interrotti sul più bello. A raccontarli sono i protagonisti di quelle avventure, l'allenatore del La Palma Bernardo Mereu e il presidente dell'Atletico Sirio Tonino Orrù. «In realtà», puntualizza il tecnico, «noi siamo riusciti anche a fare meglio, visto che abbiamo raggiunto la serie C2. E abbiamo anche raggiunto la salvezza. Purtroppo, la dirigenza non trovò i soldi per l'anno successivo e la squadra non si iscrisse al campionato successivo».
Ricordi struggenti quelli di Mereu. «Alla prima di campionato in C2, andammo a Livorno: quel giorno c'era il papa in visita e quindi, non trovando un pullman, fummo costretti ad andare allo stadio con i mezzi pubblici. I tifosi del Livorno ci schernirono. Ma dovettero ricredersi perché fummo, poi, noi a vincere la partita». La fine del sogno? «Ci avvantaggiò il fatto che l'inizio della nostra avventura coincise con il crollo del Cagliari. Riuscimmo ad avere anche cinquemila spettatori all'Amsicora. Poi, quando sulla panchina rossoblù arrivò Ranieri, il Cagliari riprese a volare. E i tifosi pian piano ci abbandonarono». Triste ripensare a quell'ultimo campionato giocato in un Sant'Elia semi deserto.
Storia un po' diversa quella dell'Atletico Sirio. «L'unione», ripensa Tonino Orrù, «di Sant'Avendrace e Cep attraverso l'Atletico Cagliari e la Sirio? Colpa dell'asse mediano. Il campo del Cep fu tagliato a metà e offrii ospitalità al presidente Franco Capone che così riuscì a far giocare i calciatori ad alti livelli».
L'Atletico Sirio incontrò, però, altri problemi. «Per due anni, ci concessero di giocare nel campo in terra battuta di viale Elmas. Poi, quando fummo costretti a trovare un campo in erba, iniziò il nostro peregrinare: Elmas, Decimoputzu, Villasor, vagammo per tutto l'hinterland. E, chiaramente, i tifosi iniziarono a seguirci sempre meno, nonostante la presenza di giocatori dei due quartieri». Orrù, comunque, è ottimista: il “modello Chievo” è esportabile. «I rioni inseguono con distacco le proprie squadre mentre in quelli popolari c'è più passione. Quindi, il Progetto Sant'Elia può davvero puntare a restare a lungo nei campionati nazionali». ( mar.co. )