Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Gianni Campus, architetture di luce

Fonte: L'Unione Sarda
3 marzo 2011


LA MOSTRA. Al THotel di Cagliari fino a domenica il mondo in chiaroscuro raccontato in 160 fotografie da un viaggiatore curioso


Lunamatrona ed Edimburgo. La Maddalena, Bergen, Tokio e quasi ogni altro angolo di mondo, nelle immagini di Giovanni Maria Campus. Architetto e viaggiatore che ammette di essere la disperazione dei suoi compagni di ventura. Amici e parenti costretti a lunghe soste davanti, per esempio, a un vecchio portone corroso finché lui non trova l'angolazione giusta e, finalmente, scatta.
Esposte al THotel di Cagliari, fino a domenica, 160 immagini - in prevalenza in bianco e nero - privilegiano i particolari di una visione complessiva enunciata da un titolo programmatico: “Nella mente, la luce”. E sono i chiaroscuri, gli equilibri tra le ombre, a mettere in evidenza l'incastro delle tegole sui tetti, la geometria dei ciottolati, lo slancio dei comignoli. Biciclette vietnamite e le colonne di Petra, una pila di bicchieri ben ordinati in un caffè francese, la teoria degli alberi delle barche al porto di Alghero. Nelle foto di Gianni Campus, Siddi e Budapest hanno la stessa dignità e le istantanee che le riprendono formano un patrimonio della memoria che l'autore vuole comunicare a coloro che quei luoghi magari non li hanno mai visti.
L'autore dichiara di cercare deliberatamente il paradosso, inteso nel senso di proposizione che contraddice l'esperienza comune e ingenera un senso di sorpresa. E cita Mondrian, Burri, Rauschenberg, sottolineando analogie e differenze tra il suo occhio e quello degli artisti. C'è nelle stampe in mostra al THotel, un motivo ricorrente: porte e finestre chiuse, talvolta sbarrate, talvolta murate. E catene, lucchetti, serrature, a sottolineare limiti e barriere. Dettagli che sono tracce di vita e danno rilievo estetico alle casette di paese come al gotico di Rouen. Decisamente assenti, le figure umane. I paesaggi - montagne, acque di stagno e d'oceano - sono disabitati. Gli scorci architettonici, quasi astratti, mettono in pratica un'altra figura retorica, la metonimia: ossia, la parte per il tutto. Sono segni grafici le anfore messe in fila, le tubature sugli edifici, le bandierine di carta tese dal vento.
Di fronte al raffinato uso del bianco e nero quasi sbiadisce la piccola sezione a colori. Che mette in scena molti vegetali e alimentari (radici di alberi, banane, sardine, patate) e il deserto di Wadi Rum e magnifici cammelli e rocce, mercati e cibo cotto all'aperto. Per qualche misteriosa ragione il veritiero colore confonde e distrae e un poco involgarisce. Un solo, evanescente, ritratto di donna, ad aprire il nutrito percorso espositivo corredato dalle macchine fotografiche usate negli anni dall'architetto, che ne conosce tutte le caratteristiche tecniche. Una batteria di Nikon, Agfa a cassetta, Ducati, Rectaflex, Zeiss Contax, Contaflex, Contarex. E la gloriosa Hassenblad, in una rassegna dentro la rassegna che include le valigette in alluminio e le vetuste custodie in cuoio di un tempo - testimoni di una passione seria come un lavoro - nonché le agili digitali che al loro apparire hanno inquietato i forzati della macchina oscura.
Gianni Campus ha negli anni messo assieme migliaia di scatti. E confessa che passerebbe la giornata intera, dietro l'obiettivo. Vorrebbe registrare, per esempio, la città che cambia di continuo e definisce il suo operare come un attraversamento e un condensato di storie. Sempre inseguendo la luce, che «scrive e disegna, seleziona e ritaglia, include ed esclude». Che si trovi in Sardegna o in lande esotiche, il professionista che parla di fisica, matematica e letteratura cerca di catturare la chimera della Sachlickeit, l'oggettività.
Intento che naturalmente passa attraverso la sensibilità del fotografo che sa bene che, dietro ogni istantanea apparentemente casuale, c'è una scelta precisa, un'assunzione di responsabilità che Campus non nega. Anzi, egli si mette al centro di questi frammenti di universo che ormai - dice - esigevano di essere condivisi, di essere consegnati ad altri. Da protagonista, si fa traduttore rivelando così la forte valenza emozionale che già trapela dalla visione delle sue erratiche sequenze.
ALESSANDRA MENESINI