Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Quando via Caprera venne cancellata

Fonte: L'Unione Sarda
21 febbraio 2011

Il racconto dei sopravvissuti al raid del 26 febbraio 1943, durante la Guerra mondiale
I ricordi dei bombardamenti: «C'erano fumo e tanti morti»
Sangue, bombe inesplose, palazzi crollati: è quello che hanno vissuto migliaia di cagliaritani dopo i bombardamenti del 1943.
Cagliari, 26 febbraio 1943, ore 15,30. Una ventina di B17 piomba sulla città e rovescia 50 tonnellate di bombe sulla direttrice Bonaria-Castello-Stampace. Gianfranco Podda era a casa con sua madre, in via Caprera. «Udii il frastuono delle eliche», ricorda l'ottantacinquenne, all'epoca diciottenne, «e capii cosa stava per succedere. Mio padre non c'era. Avvisai mia madre e ci precipitammo fuori. Lei prima di uscire mise gli ori in un sacchetto». La caserma dei Vigili del fuoco di via Caprera era stata trasformata in rifugio. «Una struttura con le colonne in legno», ricorda Podda. «Cercammo riparo insieme ad altre 15 persone. Cominciarono a cadere le bombe e l'ingresso della caserma crollò. Restammo intrappolati per due giorni e due notti prima che un vigile del fuoco, del quale ricordo solo il cognome, Loi, riuscisse ad aprire un varco tra le macerie».
LA SOPRAVVIVENZA Alcune persone avevano portato acqua e pane e questo consentì al gruppo di resistere. «Non appena fuori, ci ritrovammo di fronte a una bomba inesplosa alta un metro e mezzo. Lo ricordo ancora con orrore. Se fosse esplosa, non sarei qui oggi a raccontare questa storia. Rimasi sotto choc quando mi resi conto che la mia casa non c'era più perché tutta via Caprera era stata rasa al suolo. Tra le macerie riconobbi il nostro apparecchio radio, che utilizzavamo come mobile. Soltanto quello si salvò». I sopravvissuti furono condotti in un altro rifugio. «Una grotta di viale Merello, all'altezza della sede della Croce Rosa. Vi restammo per una settimana. Eravamo un centinaio e i militari ci portavano il rancio. Io ero ancora in pigiama e mi diedero una divisa». Successivamente madre e figlio si ricongiunsero al padre e marito, titolare di un'impresa edile in viale La Playa, anch'essa bombardata.
SECONDO GIORNO Le bombe caddero anche due giorni dopo: il 28 febbraio. «Era domenica», ricorda Luigi Pitzalis, 86 anni, «avevo 19 anni e lavoravo all'Hotel Moderno, in via Roma, del quale divenni in seguito direttore. Mi trovavo nella hall, era subito dopo pranzo. A un certo punto udii un boato e mi crollò tutto addosso. A salvarmi fu il mobile nel quale appendevamo le chiavi delle stanze, che si trovava alle mie spalle. Mi fece da scudo. Un muro laterale venne giù e riuscì a uscire. Mi ritrovai nel ristorante dell'albergo, sventrato, e poi tra i resti del cinema Eden, che in seguito divenne il Capitol. C'erano fumo, polvere e tanti morti. Era tutto distrutto. Iniziai a correre in una direzione a caso. Ero terrorizzato».
PAOLO LOCHE

19/02/2011