Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Un ritmo pop per le corna di Barbablù

Fonte: L'Unione Sarda
11 febbraio 2011

Teatro. Al Massimo di Cagliari applausi convinti per “La scuola delle mogli” di Molière con l'adattamento e la regia di Valter Malosti

Anche il carnefice inciampa, evviva, nel proprio maleficio. Si scopre vittima di un'ossessione di corna, finendo con l'annaspare nel mare tranquillo del proprio maschilismo, presto castrato dalla vittoria della natura e di un destino allenato a vedere sempre un po' più in là degli umani sotterfugi. E se ne può ridere eppure soffrirne. Capita più spesso di quanto si creda che il tragico finisca a fare la tana nel comico, nella vita come in certe commedie. Così succede nello spettacolo La scuola delle mogli per l'adattamento e la regia di Valter Malosti. Il direttore artistico della compagnia Teatro di Dioniso rilegge Molière e diventa un giostraio impeccabile. Ne cuce una versione in rima baciata e l'annaffia di scelte musicali diverse (Giuseppe Verdi, Giorgio Gaber, John Lennon, Ennio Morricone e molto altro) ma anche azzeccate, che fluidificano la farsa.
Malosti dirige ma si lascia il ruolo del protagonista, affiancandosi un cast molto lodevole composto da Mariano Pirrello, Valentina Virando, Giulia Cotugno, Marco Imparato, Fausto Caroli e Gianluca Gambino. Tutti ottimamente a tempo nella partitura ritmica, marcata da accelerazioni e fermi immagine con repentini interventi di illuminotecnica.
E se Arnolphe sogghigna degli altrui mali il fallimento è già in agguato. Basta uno sguardo alla scenografia di Carmelo Giammello, sul palco del Massimo di Cagliari (si replica sino a domenica con doppio turno stasera, alle 16,30 e alle 21). Perché tra la casa sullo sfondo e l'isola con al centro un ceppo - un po' gioco sul falso nome del protagonista, un po' metafora araldica di una nobiltà farlocca - un cervo è la figura muta e onnipresente nel caleidoscopio vivace che indossa i costumi surreali di Federica Genovesi.
Arnolphe si adopera nella costruzione della perfetta consorte sottomessa e ottusa, come confessa a un personaggio dal volto celato. Fa educare dalle suore la trovatella Agnès, mentre dileggia gli uomini cornuti e già assapora il successo di non far parte del club. Ma lei cresce, incrocia un altro sguardo maschile e da bambola/bambina muta in donna con un'innocente ferocia. Quando parla ad Arnolphe sbandiera la verità con un candore accecante. “Sì, lo amo. Se è vero perché non lo posso dire?”, dice aprendo il suo cuore. Il meccanismo si inceppa, l'umanità femminile affiora e prende il sopravvento ed esce dalla casa/prigione. Con l'aiuto del destino: non è una poverella, ma la figlia segreta di un nobile che l'aveva cercata e promessa proprio al giovane spasimante in accordo con il padre di lui.
Assonanze, punteggiamenti di un francese maccheronico e drappeggi musicali melodrammatici e pop forse non convincono completamente la platea del Massimo. Che però applaude senza risparmiarsi, riconoscendo la levatura d'interpretazione nel testo ironico. Già, gli interpreti non lo dimenticano mai e riescono nel compito della risata, inseguendo e caldeggiando quell'ossessione delle corna che è vera linfa della drammaturgia. Conquistano occhio e orecchio con un teatro visionario e appagante, dove le luci emozionali di Francesco Dell'Elba regalano l'ultima pennellata sulla giostra messa in piedi da Malosti.
MANUELA VACCA

11/02/2011