Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Le Màscaras di Orrù: i visi fatti a mano dell'esistere teatrale

Fonte: L'Unione Sarda
11 febbraio 2011

mostre Al Teatro civico di Castello

Il carnevale, per ora, si percepisce solo nei profumati e invoglianti sentori di zeppole. È avanti, quest'anno, ma, per entrare da subito nella dimensione attraente e magica della maschera, capita puntuale una mostra, proposta fino all'11 marzo nel Teatro civico di Castello dalla cooperativa Fueddu e Gestu di Villasor. “Màscaras: vita di una comunità teatrale” celebra i 25 anni di attività del teatro di Giampietro Orrù, regista e fondatore di Fueddu, ma anche artigiano, raffinato demiurgo delle anime che ogni maschera che realizza rappresenta, avendo fatta propria la filosofia del drammaturgo francese Alfred Jarry, secondo cui “la vita è il carnevale dell'essere”. Un teatro - un fare comunitario, uno scambio di esperienze e di sogni, che mischiano il surreale al popolare - che proprio attraverso la realizzazione manuale di un'originale collezione di maschere, e costumi e scenografie, è riuscito a costituire un piccolo museo della propria cultura materiale. La mostra in corso, presentata da Giuseppina Cuccu, dà conto di un approccio che, metabolizzata una poetica degli oggetti scenici da “Terzo teatro”, con l'utilizzo di object trouvé adattati alle diverse drammaturgie, approda alla maschera come elemento centrale del lavoro della compagnia di Villasor.
Mostra nella mostra, le foto di scena realizzate da Pablo Volta, fotografo che col teatro - con quello parigino, “dell'assurdo”, di metà Novecento - ha avuto grande consuetudine. Forse per questa attrazione fatale, Volta, residente da anni a San Sperate, dopo avere girato il mondo come fotoreporter e maestro della fotografia antropologica (indirizzo che lo ha portato in Sardegna nel Cinquanta), è approdato in questi ultimi anni alla compagnia di Orrù (di cui fanno parte gli attori Nanni Melis, Maura Grassu, Rossano Orrù e i musicisti Ottavio Farci e Veronica Maccioni) e ha fermato in inediti scatti digitali - inediti per un fotografo classe 1926 - i lavori degli ultimi cinque anni. Con la consueta generosità, perché la sua passione tracima da logiche di copyright e autentiche, Volta è l'occhio illustre che testimonia e fissa per sempre in decisivi momenti spettacoli come il recente “Ubu Rey”, dall'“Ubu Roi” di Alfred Jarry, o come il festival di arti performative “Azioni di Filosofia Diretta” (2009), in collaborazione col poeta Serge Pey. Quindi, certo, la mostra vale per maschere e costumi: già il primo approccio, col manichino del costume di “Frida che visse due volte” su per le scale, davanti a uno specchio, è una sorpresa inquietante, una doppia visione, di bellezza e morte, che intriga e prepara alle insidiose smorfie di maschere in legno, sughero, cuoio, zucche, cartapesta. Una sequenza di volti ben documentata nel catalogo “Mascaras” (Soter edizioni), che contiene tutte le declinazioni della cellula prima di questo gruppo teatrale, che, partendo da “parola e gesto”, è approdato, come in un ossimoro, all'afasia e alla fissità della maschera, “dimensione espressiva ed esistenziale che crea ed interpreta lo sdoppiamento simbolico del vivere quotidiano”, come scrive la Cuccu. Ma anche il portato dell'inossidabile Volta vale la visita alla mostra: ciò che il suo occhio ha catturato, arricchisce e nutre la vita di questo teatro di provincia, divenuto un po' la sua famiglia.
RAFFAELLA VENTURI

11/02/2011