Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Aiuto, c’è il Sant’Elia da salvare

Fonte: La Nuova Sardegna
19 gennaio 2011



Impianti all’anno zero: pensiamo a strutture leggere per i rioni



Troppe strutture vecchie e senza manutenzione, il nuovo palazzetto è chiesto a gran voce da tante società

ANTONELLO DEIDDA

CAGLIARI. Sport, c’è tutto un mondo intorno che chiede solo di essere ascoltato e un po’ di attenzione in più di quella che gli hanno riservato negli ultimi tempi. Anche perché dall’amministrazione comunale sono arrivate delle deboli risposte e un sostanziale nulla di fatto che ha lasciato le cose come stavano una ventina di anni fa se non di più.
Il disastro è sotto gli occhi di tutti. È emergenza per gli impianti, è allarme per le strutture che le società cittadine (e sono centinaia e centinaia) usano per le loro squadre. Una palestra, il mio regno per la palestra attrezzata, piangono discipline in ascesa come la danza sportiva o la ginnastica artistica. I campi di calcio sono pochi, nei quartieri gli spazi attrezzati sono quasi assenti. Per non parlare dello stadio di Cagliari, un Sant’Elia fatto invecchiare colpevolmente per insipienza e che presto potrebbe trasformarsi in una cattedrale nel deserto. Il palazzetto di via Rockfeller mostra i suoi limiti, anche se poi fa regolarmente il tutto esaurito quando arriva una nazionale. Perché Cagliari ha una cultura e una passione per lo sport che poche altre città italiane hanno. Il guaio è che per anni si è evitato di investire nello sport. Compito duro, durissimo quello che attende il nuovo sindaco: di destra, di centro o di sinistra, alto o basso, grasso o magro avrà davanti un lavoro di recupero enorme. Lo dice Gigi Riva, icona del calcio non solo cagliaritano. Sentite: «Che cosa chiederei al prossimo sindaco? Di occuparsi di più e meglio di sport, soprattutto a livello giovanile. Ragazzi che praticano una disciplina difficilmente si mettono in situazioni di disagio sociale». Politica sana e strutture adeguate levano la tv di torno. E anche il Sant’Elia potrebbe fare al caso: «Bisogna rendersi conto - è ancora Riva che parla - che nel progetto originario il Sant’Elia era nato come una specie di stadio olimpico della Sardegna, che solo per convenienza il calcio avrebbe fatto suo. Ecco quale potrebbe essere il futuro del Sant’Elia, recuperandolo per le manifestazioni sportive come l’atletica. Qui a Cagliari in anni passati sono venuti atleti come Arese o Mennea. Perché non si può fare lo stesso? C’è la possibilità di recuperare quello che è un bene della città di Cagliari e della Sardegna». Le responsabilità di chi non ha voluto vedere al di là del proprio naso sono note, le colpe del Comune pure. E adesso c’è anche il rischio che tra poco la città perda pure la squadra di calcio di seria A. Cellino tace e intanto aspetta di partire con il suo progetto di stadio a Elmas. «Ma il Comune no - continua Riva - deve pensare a salvare il Sant’Elia».
Sugli impianti insiste il presidente del Coni Gianfranco Fara. Uno che di sport se ne intende e sa che così non si può andare avanti: «Cosa desidero? Che il sindaco si prenda cura dello sport: ci sono tutta una serie di problemi sul tappeto che aspettano solo una soluzione. Il Sant’Elia, la piscina di Terramaini, il nuovo palazzetto a San Paolo. Non bisogna farne una questione di colore politico ma sociale, restituendo alla gente la voglia e la possibilità di fare sport. Noi come Coni abbiamo avviato un confronto con la Regione per il monitoraggio delle strutture sportive, cercando di scoprire quelle che necessitano di lavori o di semplici manutenzioni. Un invito alla collaborazione che rivolgiamo alla prossima amministrazione cittadina». E di impianti parla anche il presidente della federazione pallacanestro Bruno Perra, che sottolinea la tradizione di eccellenza cagliaritana oggi un poco sbiadita: «A Cagliari non può dare lezioni di sport nessuno, ma spesso chi governa la città si è dimenticato di trovare soluzioni adatte a risolvere i problemi. Perché lo sport è in ascesa, sono aumentate le società e il numero dei praticanti ma gli impianti sonogli stessi. Basket e volley, per dire di due discipline, guardano sempre ad un palazzetto degno di questo nome che consenta di far fare il salto di qualità a qualche società». Perché giocare piace: i centri di minibasket scoppiano, quelli di avviamento al volley pure. Perra lancia l’idea dei playground all’americana nei rioni: «Viviamo in una città che ha il clima giusto per costruire campi all’aperto. Perché non provarci? Si darebbe una possibilità di svago e un interesse in più ai giovani, levandoli dalla strada». È un’idea tanto campata per aria? La nuova amministrazione ci pensi. Ci sono società di calcio che hanno «fame» di campi dove far giocare le squadre ma che non hanno mai incontrato l’assessore. Il La Palma Monte Urpinu ha quasi 50 anni (nacque nel rione omonimo nel 1963) e tenta disperatamente di creare una sorta di cittadella del calcio in sintetico al Cras: «Otterremo un bel risultato, evitando di girare per la città nei diversi campi che usano le nostre squadre», ammette il presidente Sandro Murtas. Che aggiunge: «La possibilità di avere strutture proprie è comune in pratica a tutte le società di calcio, che spesso si contendono i campi dove giocare. Noi abbiamo circa 300 ragazzi che giocano, dai Primi calci alla Promozione: non è un motivo sufficente per venirci incotro? Anche perché i soldi li metteremo in gran parte noi». Il fatto è che il dialogo è difficile, Comune e società sportive sono spesso lontane. L’avvocato Alessandro Dedoni è il presidente dell’Amsicora, storica società che è (caso più unico che raro) pure proprietaria di uno stadio tutto suo: «Il progetto per rifare l’Amsicora era pronto ma è stato bocciato. E dire che il Comune non ci avrebbe messo una lira e noi avremo trovato gli gli sponsor per realizzarlo. Il Tar ha deciso altrimenti ma ora faremo ricorso al Consiglio di Stato per riavviare la pratica. Perché è chiaro che così l’Amsicora non può vivere. E che dire dei 300 bambini che abbiamo avviato allo sport: qui hanno la possibilità di moversi divertendosi. Vogliamo rinunciare a loro?». Pensare anche ai più piccoli ma non dimenticare quelli che nei fine settimana corrono dietro ad un pallone nei frequentatissimi tornei amatoriali di calcio e sono relegati spesso in spazio angusti. Dicono Antonello Masala e Salvatore Marongiu, presidenti di due team amatoriali: «Il disinteresse dell’amministrazione è sempre stato totale o quasi. Certo, non pretendiano la luna ma probabilmente un po’ di contributi in più sì». Capito?
CAGLIARI. Mettete una bici in ogni strada della città: niente di più ecologico, solidale e sostenibile. Quando ad ottobre fu inaugurato il servizio di bike sharing - prendi la bici da una parte della città e la lasci altrove - in molti in via Roma gridarono al miracolo. Ma il progetto è rimasto a metà starda perchè non esistono le vie per le bici, allegerendo il traffico e diminuendo l’inquinamento. Così il progetto di bike sharing rischia di naufragare anche se gli appassionati ci sono e i turisti preferiscono le due ruote per gli spostamenti. La passione è però difficile da coniugare con il traffico, il progetto comunale deve migliorare per ragalare un servizio in più ai cittadini ma anche un innovativo modo di fare sport. Kevin Legge è presidente di Città ciclabile, associazione che da anni si batte per consentire agli appassionati delle due ruote di dare sfogo alla loro passione: «Andare in bici significa più ambiente e meno inquinamento, si parla allora della creazione di un ufficio della bicicletta, dove poter registrare il proprio mezzo a due ruote e avere anche qualche sicurezza in più in caso di furto. Ma sarebbe anche una maniera per lasciare l’auto a casa. Un’utopia? No, altrove si sono raggiunti risultati importanti». Dunque investire in piste ciclabili, per consentire a chi vuole andare su due ruore di poterlo fare senza doversi districare tra auto in sosta, deviazioni e transenne. «Cagliari - conclude Kevin Legge - non ha la cultura dell’andare in bici ma può recuperarla». (ad)