Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Quel grande Regno di Sardegna

Fonte: La Nuova Sardegna
14 gennaio 2011

Il lungo e tortuoso cammino per la nascita di una moderna nazione


WALTER PORCEDDA

CAGLIARI. Ma quanti sono stati i Cappai, i Muscas, i Cossu o i Sassu che hanno combattuto cadendo per fare l’Italia? O i Mameli? Come quel Goffredo che a soli venti anni compose l’inno, «Fratelli d’Italia» che ancora oggi si suona e si canta nelle manifestazioni ufficiali in tutto il Paese. Morì per un’infezione appena un anno dopo, nel 1849, combattendo a difesa dell’effimera Repubblica Romana. In pochi forse sapranno che questo poeta soldato era figlio di sardi, originari di Lanusei. Di sardi legati a doppio filo - come gli altri numerosi caduti nei campi di battaglia di Marengo, Goito o Pastrengo (ma anche in Crimea) nelle guerre d’Indipendenza, soldati di reggimenti comandati ovviamente da ufficiali piemontesi - al sogno di fare una sola l’Italia. Questi nomi accanto ad altri tornano alla memoria proprio adesso all’apertura delle manifestazioni programmate per la celebrazione dei centocinquanta anni di Unità.
Una delle prime, da ieri, si tiene fino al 23 gennaio nelle sale di un luogo simbolo così importante per la storia della nostra terra, il Palazzo Regio di Castello. Qui si è inaugurata infatti in grande spolvero, alla presenza di autorità, prefetto, sindaco, assessori provinciali e comunali, comandanti delle varie armi e folle di giovani studenti, l’esposizione «Dal Regno di Sardegna all’Italia Unita».
Una mostra di cimeli e documenti storici che conducono immediatamente al cuore dell’intricata matassa di relazioni tra l’Isola e il futuro stato tricolore nato, guarda caso, come Regno di Sardegna. E certo fa una strana impressione osservare il manifesto utilizzato per presentare l’esposizione: una cartina geografica dove lungo tutto lo Stivale appena unificato - sole esclusioni del Veneto e Stato Pontificio di allora, corrispondente grosso modo all’attuale Lazio, prima cioè della Breccia di Porta Pia - campeggia in grande la scritta «Regno di Sardegna».
Quel «Regno di Sardegna» portato in eredità dall’isola ai Savoia e che dopo la presa di Roma fu trasformato in Regno d’Italia. Solo un fatto araldico o qualcosa di più, che resiste ad esempio, come testimonianza di una lunga storia, anche in quella gloriosa istituzione che è il corpo dei Granatieri di Sardegna?
Certo il rapporto tra la Sardegna e quella che poi diventò Italia non fu proprio dei più lineari, come ha ricordato nella sua interessante prolusione di presentazione dell’iniziativa l’assessore Giorgio Pellegrini che ha ricostruito proprio il passaggio dell’isola, dal passato spagnolo ai Savoia e la successiva avventura da protagonista nella battaglia unitaria.
Dal nome quasi sinonimo disprezzato di morte (per i toscani il termine “sardigna” era usato per indicare gli scarti di macellazione) a prima frontiera per tantissimi anni delle incursioni barbaresche e, di conseguenza - nota Pellegrini - a difesa dell’Italia, a terra sempre rispettosa della monarchia e cioè, in ultima analisi dello Stato, anche in presenza di moti di ribellione.
Sardi fedeli e patrioti? A testimoniare uno spirito comunque di combattenti unici pronti al sacrificio stanno le memorie e le testimonianze recuperate proprio da quelle Guerre d’Indipendenza che fecero l’Italia.
Compresa la Grande Guerra da tanti indicata come quarta guerra d’indipendenza a compimento di una unica tela unitaria.
Ecco così le uniformi originali dei Granatieri o dei Finanzieri. Le vetrine dove fanno bella mostra armi da guerra: sciabole, baionette, pistole, schioppi, fucili e persino proiettili. Dal 1840 al 1918. Medaglieri e mostrine, ritratti di Garibaldi e riproduzioni d’epoca.
Di forte interesse, soprattutto per la memoria della Sardegna, la sezione dedicata al corpo dei carabinieri con le belle tavole di Beltrame della «Domenica del Corriere» con banditi in fuga dopo assalti a treni o diligenze, tra i monti e i boschi inseguiti dalla Benemerita. Ma quella è già un’altra storia.