Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Arrica, addio a un grande

Fonte: L'Unione Sarda
12 gennaio 2011


È morto l'uomo che costruì il Cagliari dello scudetto

Dopo una breve malattia è morto ieri, alla vigilia degli 85 anni che avrebbe compiuto sabato, Andrea Arrica, il dirigente che aveva costruito il Cagliari dello scudetto. I funerali si svolgeranno domani alle 15,30 nella basilica di Bonaria.

Aveva costruito il Cagliari dello scudetto con operazioni di mercato fantascientifiche, oggi impensabili, lui che arrivava praticamente dal nulla, da una squadra che pochi anni prima vivacchiava in serie C1 e la Sardegna e il Cagliari erano una terra e una squadra nella quale potevi finire soltanto se avevi fatto da cattivo, molto da cattivo, come disse a Riva una sua zia nel momento in cui il futuro Rombodituono si imbarcava per l'isola. Ma Andrea Arrica si era saputo infilare con incredibile abilità tra i marpioni del calcio-mercato di quell'epoca romantica e ruggente ma, come oggi, piena di gente pronta a venderti brocchi in cambio di una vagonata di banconote e a portarti via a basso prezzo l'argenteria di famiglia.
Andrea Arrica li aveva fregati tutti. Certe sue operazioni hanno fatto storia. L'Inter chiede Boninsegna? Affare fatto, basta che mi diate Domenghini, Gori e Poli. La Fiorentina vuole Rizzo? Va bene, ma voglio Albertosi e Brugnera. E, prim'ancora, era stato capace di strappare praticamente a costo zero Nené alla Juventus che lo faceva giocare centravanti e quel genio di Manlio Scopigno (che capiva di pallone non solo di psicologia) lo aveva trasformato in mezz'ala. Dal Sudamerica, da quel Perù che in quegli anni non sapevamo neanche dove fosse, aveva importato Alberto Gallardo, che a Cagliari non aveva avuto particolare fortuna (memorabili le sue cannonate che finivano puntualmente nel canale di Mammarranca), ma che qualche tempo, a Mexico 70, aveva stupito il mondo con la sua bravura cristallina. Andrea Arrica aveva visto giusto anche quella volta.
E poi, naturalmente, lui. Luigi Riva: non era stato soltanto Arrica a volerlo in maglia rossoblù, le segnalazioni erano arrivate dai tecnici come Arturo “Sandokan” Silvestri e Omero Tognon, ma Arrica era stato bravissimo a bruciare la concorrenza che stava iniziando a diventare spietata perché in tanti stavano mettendo gli occhi addosso a quel ragazzino di Leggiuno. L'aveva acquistato prima di una partita della nazionale giovanile nella quale il futuro Giggirriva (che allora era soprannominato “forchetta” per quanto era magro) aveva brillato e quando a fine gara gli osservatori di altre potentissime squadre del Nord avevano contattato il presidente del Legnano, a quest'ultimo non era rimasto altro da dire che “mi dispiace, siete arrivati troppo tardi, Luigi Riva è già del Cagliari”.
Era un'altra epoca e un altro mercato, che si consumava all'hotel Gallia di Milano, senza telecamere in mezzo ai piedi. Tanta leggenda ha accompagnato quei giorni caldi d'estate, ma non è leggenda ricordare come Arrica aveva strappato Albertosi e Brugnera alla Fiorentina in cambio della meteora Francesco Rizzo, mezzapunta calabrese che con la maglia del Cagliari aveva conosciuto un momento di gloria anche in azzurro quando nel 1966 aveva segnato due dei sei gol dell'Italia alla Bulgaria. Quella notte al Gallia Arrica fece bere qualche bicchiere in più al presidente viola Nello Baglini e alle prime luci dell'alba gli aveva fatto firmare un impegno a cedere Albertosi e Brugnera in cambio di Rizzo scritto in un tovagliolo di carta del ristorante del Gallia. E Baglini, gentiluomo d'altri tempi, non aveva battuto ciglio: così ho scritto, così farò, aveva sentenziato.
Ha detto bene Gigi Riva, molto più che commosso nel momento in cui ha appreso la notizia della morte di un altro pezzo di quel Cagliari che quarant'anni fa aveva sconvolto il mondo del pallone, forse uno dei più importanti, insieme con Efisio Corrias e Paolo Marras: «Arrica era stato abilissimo, come nessun altro, a conquistare la simpatia dei potenti del calcio». Se il Cagliari era diventata una squadra amata da tutti lo deve anche a questo dirigente, furbo come una volpe, una mina vagante tra i giganti del calcio italiano di quell'epoca. Ai quali - ricorda adesso Rombodituono con un dolce sorriso sulle labbra - «mi aveva venduto tre, forse quattro volte». Ma l'operazione saltava sempre perché Riva diceva no in un periodo nel quale i calciatori non potevano, come adesso, dire no. Ma non era bastato questo a rompere un'amicizia nata proprio nei giorni in cui Riva era approdato nell'isola che sarebbe diventata la sua isola: «Arrica mi aveva aiutato, soprattutto dopo che avevo smesso. Oggi che ci ha lasciato, avverto la sensazione che ci abbia lasciato uno di famiglia. Con lui non si parlava soltanto di calcio: era pronto a darci una mano, soprattutto a noi giovani e scapoli che vivevamo nella foresteria. Eravamo migranti al contario, Arrica con la sua innata simpatia, la sua straordinaria voglia di vivere, ci faceva stare meglio. Lontani dalle nostre famiglie». E ancora, è sempre Riva che parla: «Un gentiluomo come lui non ce lo vedo nel calcio di oggi dove la stretta di mano non vale più».
Una mossa eccezionale - altro ricordo che affiora adesso dall'archivio della memoria - era stato il patto che Arrica aveva sottoscritto con Angelo Moratti: non gli aveva venduto Gigi Riva (perché pare che fosse Helenio Herrera a non volerlo) ma il Cagliari aveva incassato una discreta cifra perché Arrica aveva promesso al papà dell'attuale presidente dell'Inter (squadra per la quale Riva tifava da giovane) che non lo avrebbe venduto a nessuna delle dirette concorrenti.
Il momento magico, per tutti, era stato quel 12 aprile 1970, il giorno dello scudetto e della gloria: «Passammo la notte a casa di Arrica», dice ancora Riva; «la città era impazzita e trovammo rifugio a casa sua. Quando a notte fonda uscimmo per tornare ognuno a casa propria le vie di Cagliari sembravano quelle di Rio de Janiero il giorno del Carnevale».
Andrea Arrica, che ha sempre agito nell'interesse del Cagliari e non del proprio tornaconto, era diventato un personaggio popolarissimo: il “Guerin Sportivo” gli dedicava vignette su vignette, ironizzando sulla sua altezza non eccezionale ma a uscirne peggio erano i suoi avversari di mercato che avevano portafogli gonfi di soldi ma alla fine era Arrica che riusciva a costruire squadroni senza spendere una lira. Anzi, guadagnandoci. Convincendoli magari - ed era questa la sua straordinaria abilità - che l'affare l'avevano fatto loro. E non il Cagliari.
NANDO MURA

12/01/2011