Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Mario, che con la sua voce illuminò l'Ottocento

Fonte: L'Unione Sarda
28 dicembre 2010

Personaggi. Nasceva 200 anni fa Giovanni De Candia: le origini nobiliari gli imposero un nome d'arte
Il grande tenore cagliaritano conquistò l'Europa E finì anche nell'“Ulisse” di James Joyce
«Negli Ugonotti è inarrivabile. Sente profondamente ogni parola e, quanto alla sua voce, credo che sia la più bella che io abbia mai udito. Oltre a questo, egli canta e recita con un sentimento meraviglioso». In questi termini entusiastici la regina Vittoria esprimeva la sua ammirazione per il tenore Mario.
Mario, che è stato sicuramente uno dei più grandi cantanti della storia, nacque a Cagliari nel 1810 (il suo nome era Giovanni Matteo De Candia), frequentò il collegio militare e nel 1832 prese servizio nei Cacciatori sardi col grado di sottotenente. Quattro anni dopo abbandonò l'esercito e si trasferì a Marsiglia e poi a Parigi. Gli amici, soprattutto Giacomo Meyerbeer, sapendolo dotato di una stupenda voce, lo spingevano a tentare la via del teatro. Alla fine prese lezioni di musica e di recitazione. Poiché era disdicevole per un nobile calcare le scene, s'impegnò con la famiglia a non cantare mai in Italia e non usare il proprio cognome, per cui scelse un nome d'arte.
Debuttò il 5 dicembre 1838 all'Opéra in Roberto il diavolo di Meyerbeer, con un successo clamoroso. «Mario - scrisse un testimone - è dotato di una voce eccezionale e meravigliosa, ….. I bravo! che l'avevano accompagnato per tutta l'opera, al calar del sipario crebbero tanto d'intensità da parere il rombo del tuono». Raramente un cantante ha riscosso un successo immediato di queste proporzioni, tanto da far dire subito che era destinato ad essere «il successore di Rubini e di Duprez», i più famosi tenori del tempo. L'anno successivo ottenne un nuovo grande successo a Londra in Lucrezia Borgia di Donizetti, accanto a una delle dive del tempo, Giulia Grisi. Insieme, formarono sulla scena e nella vita «una coppia di usignoli beatificanti».
Impossibile seguire i successi del tenore, da solo o in coppia con la Grisi, nei principali teatri europei, da Parigi, a Londra e Pietroburgo. Un critico ha contato 931 rappresentazioni con un repertorio che comprendeva lavori di Bellini, Gounod, Mozart, Flotow, Cimarosa, Auber, Halevy, Verdi e Mercadante. Le opere che prediligeva erano Ugonotti , Il Barbiere di Siviglia , Lucrezia Borgia , Don Giovanni .
La prima assoluta del Don Pasquale , nel 1843, vide riuniti, con Mario e la Grisi, il baritono Antonio Tamburini e il basso Luigi Lablache: fra i più grandi cantanti della storia dell'opera. Dalla tessitura molto acuta di alcuni brani di quest'opera, a giudizio del famoso critico Ashbrook, «si può avere un'idea dell'estensione e della resistenza vocale di Mario». Anche la cabaletta “Sì, lo sento, Iddio mi chiama”, de I due Foscari , che Verdi scrisse per lui, ha una tessitura altissima, che raggiunge il mi bemolle, la nota più alta scritto dal compositore per un tenore.
Possiamo farci un'idea della sua voce attraverso le testimonianze: «I suoni chiari ed aperti, quel fraseggiare scandito, quella sillabazione martellata, quel modo di cantare così singolare e tanto dissimile da ogni altro mi sembravano una leziosaggine…A mano a mano però che quella voce e quel canto mi penetravano nell'anima provavo un gaudio e una dolcezza infinita. Quando uscii ero pieno di una delizia intensa non mai provata. Il fenomeno più strano fu questo: che per qualche tempo non seppi tollerare altre voci e altri cantanti.... La sua arte consisteva specialmente nel dare alla parola cantata la perfetta espressione, senza punto alterare, nonché appannare, la limpidezza del disegno melodico».
Per ottenere questi effetti, Mario arrivò talvolta ad apportare lievi modifiche ai testi. Era un cantante completo e molto versatile. Dopo un Otello un critico scrisse: «Finora pareva che in lui predominasse la grazia sulla forza; ma questa volta ha saputo essere violento e terribile, un tragico di prim'ordine».
Molti altri elementi concorsero a formare il suo mito. La recitazione, innanzitutto, così efficace che un critico inglese la paragonò a quella di Kean, il massimo attore di prosa inglese del tempo; il portamento aristocratico, la prestanza fisica, la bellezza del viso. «…Aveva modo di gentiluomo perfetto ed era amabile e bello nella persona …Nessuno si mostrò sulla scena più signore di lui né più signorilmente vestì gli abiti di cavaliere». In Inghiterra era definito “the lovely tenor”. James Joyce, nell' Ulisse , ricorda (ben quarant'anni dopo la morte), la sua interpretazione della Marta di Flotow e aggiunge che «si diceva che Mario fosse tutto il ritratto del Salvatore». La regina Vittoria, lo zar di Russia, Luigi Filippo di Francia, la Regina Margherita furono suoi grandi amici.
Di Mario devono essere ricordati anche i meriti di patriota e il contributo alla causa del Risorgimento. Si dice che il suo distacco dall'esercito e la fuga dall'Italia fossero dovuti al timore di una condanna per la sua adesione alle idee mazziniane. Interpretazione smentita dallo stesso Mazzini, il quale nel 1839 aveva solo sentito parlare di lui e nel 1841 scriveva: «Mario non è nostro ch'io mi sappia; forse lo diverrà». Negli anni successivi divenne un fervente assertore delle idee mazziniane e strinse con Mazzini un solido rapporto di amicizia. Cantò nei concerti che Mazzini organizzava a Londra, gli offrì consistenti contributi in denaro. E offrì per la spedizione dei Mille 60.000 lire.
Fu sempre generoso con tutti. Il famoso librettista Ghislanzoni disse: «La splendidezza di Mario è pari all'ingegno. Artisti d'animo sì elevato meritano aver nome non solo nella storia dell'arte ma in quella dell'umanità».
FRANCO RUGGERI

28/12/2010