Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Ricordando Tognazzi, eroe pirandelliano degli anni Sessanta

Fonte: La Nuova Sardegna
20 dicembre 2010



Cagliari, presentato a «Tre minuti di celebrità» il film «Ritratto di mio padre», girato dalla figlia Maria Sole



Nella pellicola il richiamo ad un’epoca ormai mitica Il talento di un attore di grande versatilità

GIANNI OLLA

CAGLIARI. Celebrazioni passate, presenti e future. Nel corso dell’anno, un comune lettore o spettatore televisivo, incline alla nostalgia (giustificabile), avrebbe potuto scegliere tra i novant’anni della nascita di Sordi, i dieci anni dalla morte di Gassman e i venti di Ugo Tognazzi.
Per chiudere il quadrilatero dei grandi della commedia manca solo Nino Manfredi, ma nel 1921 ricorreranno anche per lui i novant’anni della nascita. A parte le coincidenze, il ricordo questi personaggi è in buona parte un esercizio obbligatorio, visto che il loro repertorio (o anche i loro film, cioè caratterizzati dalla loro presenza, senza nulla togliere ai registi che li hanno diretti) è diventato parte, assieme alle sequenze dedicate a Totò, del grande immaginario visivo post-bellico: un’Italia che non c’è più, una comicità che affondava le sue radici nella commedia dell’arte e nel varietà. Infine, la rivelazione continua di una modernità improvvisa e sorprendente, ma anche problematica. Ovviamente, è altrettanto obbligatorio ricorrere agli studi e alla documentazione, e dunque, il film di Maria Sole Tognazzi, «Ritratto di mio padre», presentato a Cagliari nei giorni scorsi, durante la manifestazione «Tre minuti di celebrità», alla multisala Cineworld, alla presenza di Gian Marco, fratello di Maria Sole, è un tassello di questo continuo e doveroso richiamo alla memoria, non solo cinematografica, di un’epoca. Presentato in anteprima al Festival di Roma, «Ritratto di mio padre», è un documentario costruito attraverso immagini (non solo dei titoli famosi, ma anche e soprattutto dei filmini familiari) e interviste a registi e colleghi, tra i quali spiccano Monicelli e Villaggio, Placido e Avati, Bertolucci e Lizzani, Scola e Michel Piccoli, nonché altri amici e amiche con i quali condivise carriera e passioni. Maria Sole Tognazzi, ultima figlia dell’attore, avuta dalla moglie Franca Bettoja, confessò, in una vecchia intervista, di aver conosciuto poco e male il padre: aveva diciotto anni quando morì e ricordava soprattutto la continua depressione che lo accompagnò negli ultimi anni di vita. Da adolescente, inoltre, non aveva potuto neanche apprezzare le sue interpretazioni che si facevano sempre più complesse, a contatto con registi come Ferreri o Bertolucci.
Dunque, «Ritratto di mio padre» è soprattutto il tentativo riuscito di ricostruire un personaggio familiare attraverso il ricordo alla memoria altrui, oltre che alla propria e alle testimonianze oggettive. E bisogna dire che l’impresa non si presentava facile: tra i quattro “moschettieri” della commedia, Tognazzi è stato il personaggio più atipico e più dotato di una personalità non incanalabile in alcun percorso precostituito. Nasce nel varietà come Sordi (e in ciò si contrappone agli “accademici” Gassman e Manfredi, attori “diplomati”), ma diventa subito un divo della Rai, accanto a Vianello, creando una delle coppie più celebri dell’intera storia della televisione italiana. Contemporaneamente sfrutta la fama televisiva per entrare nella cinematografia popolare, macchiettista, interpretando una cinquantina di pellicole - spesso accanto a Vianello - non certo memorabili. Quando nel 1961, Luciano Salce gli farà interpretare la parte del fanatico fascista in «Il Federale», si scoprirà che il suo talento macchiettistico era capace di calarsi perfettamente in contesti drammaturgici ben più ampi. È infatti questa la combinazione che i maggiori registi degli anni Sessanta (e primo fra tutti Marco Ferreri, che lo ebbe come attore di riferimento per tutta la sua carriera) utilizzano per una sorta di poetica dello “straniamento”, vera e propria alternativa al “ritratto italiano” di Sordi o alle guasconate ribelli di Gassman.
Tognazzi ci appare sempre, nei film più belli (e ce ne sono tantissimi) come un’autocaricatura, accettata naturalmente (si pensi alle ossessioni sessuali, da «La voglia matta» al malinconico e triste «Primo amore», passando per i personaggi di Piero Chiara e per quelli di Ferreri, soprattutto nella figura autobiografica del cuoco de «La grande abbuffata») ma capace di integrarsi perfettamente nei ritratti d’epoca per diventare una vera e propria allegoria esistenziale.
In questo senso, Tognazzi - e il film lo mette in luce benissimo - è stato forse non solo un grandissimo attore, ma piuttosto un personaggio complesso che ha finito per dar vita alle decine e decine di altri personaggi, quasi pirandelliani, della sua lunga filmografia.