Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Il centro della città in ostaggio degli scontri

Fonte: La Nuova Sardegna
20 ottobre 2010



Qualcuno ha attaccato gli agenti, ma i manifestanti accusano polizia e carabinieri



Colpito in testa col manganello un allevatore rischia di perdere un occhio, operato d’urgenza nella notte

CAGLIARI. «Avete visto la partita Italia-Serbia? Quelli hanno fatto di tutto e i nostri poliziotti erano fermi. Qui invece ci hanno attaccato a freddo, impedendo alla gente di manifestare». La signora Antonietta ha 51 anni e viene da Teti, «niente cognomi per carità». È seduta sul marciapiede di via Roma, di fronte al Consiglio. Ha visto le cariche, i poliziotti spingerla e correre verso i pastori che sostavano vicino alla banchina del porto. «Sono rimasta ferma, e non ho preso botte, a me è andata bene, ma solo per caso non sono diventata la loro preda».
È andata peggio ad altri manifestanti in quei minuti poco prima delle sei. Chi è rimasto e ha avuto voglia di raccontare cosa è successo in quei minuti non usa mezzi termini: la reazione di polizia e carabinieri al lancio di pietre e bottiglie è stata sproporzionata. Non parlano delle provocazioni che alcuni gruppetti di manifestanti hanno a più riprese rivolto verso gli agenti, non citano i pezzi di marciapiede divelti e spaccati per ricavarne pietre da scagliare anche con fionde verso l’ingresso del consiglio. Non vedono alcuni ragazzi dei movimenti antagonisti che nulla hanno a che fare con i pastori approfittare della situazione e creare ulteriore disordine. E purtroppo non sanno delle condizioni del loro compagno che in nottata è stato sottoposto a un delicatissimo intervento chirurgico all’occhio.
L’anziano. Parla di quei minuti come se stesse discutendo del prezzo del foraggio; forse ne ha viste così tante che una manganellata non gli ha fatto certo paura. Giuseppe Demontis, 66 anni di Escalaplano, ma con una azienda in Gallura, ha ricevuto un colpo di sfollagente sul fianco sinistro. «Alla mia età ho dovuto prendere anche colpi. Quelli (i poliziotti, ndr) erano esaltati. Noi lottiamo per i nostri diritti, dietro ogni azienda che va a rotoli c’è una famiglia in crisi e i politici parlano senza fare nulla. Se non posso neppure manifestare, cosa mi rimane?» Un suo amico racconta delle cariche, «e come potevo correre se sono zoppo?». In ogni caso la sua tonda corporatura avrebbe impedito qualunque scatto.
Chi invece poteva scappare, ma non lo ha fatto perché era in prima fila era un ragazzino di sedici anni. Viso da elementari, giubbino smanicato rosso bordeaux, snickers alla moda e jeans chiari, indossati per l’occasione.
Il ragazzino. Il portamento tradisce sangue freddo e una buona dose di coraggio. Si avvicina alla prima fila dei carabinieri del Battaglione disposti a protezione del Consiglio e li apostrofa: «Guardate cosa avete fatto, bravi, bravi». Un gesto eloquente delle mani, ma non offensivo. Quelli non rispondono, neppure lo guardano. Il ragazzino si allontana. Ha la gamba sinistra scoperta all’altezza del ginocchio, abbondantemente fasciato. Cammina guardingo, non è un duro, se non altro per i brufoli che tradiscono un uso precoce della lametta, e rifiuta di parlare con i cronisti. «Non vi dico nulla». Lo portano via, come se fosse il simbolo della violenza subita, ma lui non si allontana, gira qua e là lungo la via Roma con quella gambetta esile. Il passaparola su come si sia ferito riporta le versioni più disparate. «È caduto», «no, l’hanno manganellato quando era a terra», «macchè è inciampato su un altro manifestante».
I giovani. Maglietta di rappresentanza, 24 anni di Bulzi, Giampiero (nome scappato ad un suo amico, non voleva pronunciarlo) ha la testa fasciata, le mani rossastre e tanta rabbia in corpo. Anche lui ha ricevuto una dose non voluta di colpi di manganello. «Ero nelle prime file, ho visto lanci di bottiglie e qualche sasso e sono scappato. Proprio in quel momento è partita la prima carica e ho visto un amico a terra colpito da un carabiniere. Ho fatto il gesto istintivo di soccorrerlo e mi sono saltati addosso. Ecco il risultato. Guardate le mie mani». Venature rosse su un palmo ricco di calli. La bandiera azzurra che sorregge ha una asta di plastica, leggerissima, ben diversa dal pesante bastone arcuato, quasi osseo, usato come sostegno dall’amico Nicolò. «Se ti colpisce fa male», dice ridendo e non si capisce se è un avvertimento o una rassicurazione. Anche Salvatore, 34 anni di Tottubella grida la sua rabbia: «Manifestiamo per i nostri diritti e siamo trattati peggio delle bestie». Gli dà corda Nino, di Ploaghe, accasciato su una panchina; al suo fianco esplode la rabbia della madre. «Mio figlio non è un delinquente, non ha picchiato nessuno, lo hanno spinto e buttato per terra manco fosse un teppista». Chieste ragioni del perché delle cariche della polizia, e del lancio di pietre, lattine e bottiglie, da tutti le stesse risposte. «Una bottiglia è stata anche buttata, ma non è questo il modo di fare, poi ci siamo difesi; dopo, è vero, abbiamo tirato qualcosa, ma quelli erano delle furie». Intorno i gruppetti di manifestanti, ciascuno con la sua storia da raccontare, guardano senza disprezzo i carabinieri e i poliziotti che a pochi metri sono pronti a ripartire. Molti attaccano bottone con i loro “nemici”. Frasi di circostanza, in limba, servono a sciogliere i nervi. Dalle prime file parte la solita domanda. «Ma siete tutti napoletani?». La risposta dal casco azzurro d’ordinanza è inequivocabile. «Ebbaediche, sono nato a Oliena». La rabbia sembra sparire d’incanto. Mentre molte ambulanze vanno via insieme al fumo dei lacrimogeni, spazzato dal maestrale, solo dopo le ventidue si spengono le ultime tensioni di una giornata da dimenticare.