Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Nel buio della mezza età

Fonte: La Nuova Sardegna
15 ottobre 2010



Intervista con Jonathan Coe sul suo nuovo romanzo



«Maxwell Sim», storia di un cinquantenne che si perde e si ritrova

ROBERTA SANNA

CAGLIARI. Dopo la brillante inaugurazione di mercoledì con Renzo Arbore, ieri notte la tenda di Tuttestorie ha ospitato Jonathan Coe. Nuovo atto meritorio, dopo Grossman, Yehoshua, Pennac, del festival per ragazzi, che regala anche agli adulti incontri eccellenti con i più importanti autori contemporanei. La notte, il buio, la dimensione del sogno e del sonno, sono gli argomenti scelti da Tuttestorie per l’incontro con l’autore della «Famiglia Winshaw», della «Banda dei brocchi», di «Circolo chiuso» e soprattutto della «Casa del sonno». Romanzo, quest’ultimo, nel quale, dice lo scrittore britannico, «proprio di quei temi ho parlato per recuperare quella parte della nostra vita, che è quasi un quarto, che trascorriamo dormendo». E per cancellare l’idea che il sonno sia tempo perso.
Con il buio c’è un rapporto stretto anche nell’ultimo suo romanzo, «I terribili segreti di Maxwell Sim». Anticipando i contenuti dell’incontro con Marino Sinibaldi, dal titolo «Segreti e bugie», Coe spiega che il protagonista, mister Sim, «si trova in un luogo molto buio: dentro sé stesso. Tutto il libro è un progresso verso la luce. Che alla sarà trovata su una spiaggia abbagliante». Un solitario, Maxwell Sim: ha per interlocutore privilegiato il navigatore satellitare. E bugiardo, fin dall’assonanza del cognome con «simulation»? «E’ vero, in effetti è una delle cose che echeggiandomi in mente mi ha fatto scegliere quel nome». Sim non solo ha dei segreti, «ma ha mentito a se stesso per tutta la vita, non perché sia cattivo, ma per non doverli affrontare. Solo alla fine del libro riuscirà a portarli alla luce».
Se questa volta il protagonista è un uomo di mezz’età, i personaggi dei precedenti romanzi sono giovani che sembrano vagare in una sconfinata adolescenza. «Ho scritto spesso sui giovani perché sono così pieni di energia, speranze e ottimismo, perché sono in un periodo della vita in cui si ha una infinita varietà di scelte. Andando avanti le scelte sembrano ridursi sempre più fino a segnare un sentiero determinato, che sembra non si possa lasciare. Ora sono arrivato a pensare che sia possibile cambiare il proprio destino anche in età avanzata. Così va per Maxwell: anche se è fisicamente bloccato su una strada reale - guida per tutto il libro, rimane in panne, si ferma si perde - alla fine proprio il suo perdersi fa sì che si ritrovi sulla spiaggia e si aprano nuove possibilità davanti a sé. Il percorso non è segnato: in fondo questo è un libro pieno di speranza sulla mezz’età».
Coe ha raccontato i giovani degli anni Settanta e Ottanta, ma non nota differenze nell’essere adolescenti oggi. «La natura umana non cambia così velocemente. Il modo di essere adolescenti non è mutato rispetto al 1967, quando lo ero io», dice. Oggi è padre. «Cerco di non essere troppo pessimista rispetto all’epoca presente, come si tende a fare alla mia età. Normalmente si guarda indietro e viene da pensare: era meglio prima. Non è così. Quando parlo alle mie figlie degli anni Settanta e racconto loro come sia stato crescere in quel periodo, a cui guardo con tanto affetto e tenerezza, non riescono a credere, sembra loro una cosa terribile, come io sia riuscito a sopravvivere in un’epoca così primitiva, senza computer, senza Internet, senza 100 canali televisivi. Ma questo mi ricorda quanto quello che può sembrare difficile e deprimente per qualcuno, per altri è stato il paradiso. E se alcuni dei lati della realtà attuale sembrano deprimenti, per le nuove generazioni sono il paradiso». Quindi: «Mi sforzo di essere un padre che non dice: era meglio ai miei tempi. Perché non lo credo affatto».
E nemmeno teme, Coe, social network e realtà virtuale. «Hanno effetti dannosi solo se presi come sostituto. Non se utilizzati come un extra, qualcosa che aumenta le possibilità delle relazioni. La tecnologia in sé è sempre neutra. Certo bisogna essere consapevoli dei pericoli, ma ritengo che nel mio Paese non si registri un reale problema, anche se la vera prova si potrà avere quando saranno cresciute le nuove generazioni, i ragazzi che oggi hanno 10/11 anni, come le mie figlie».
Tutti i romanzi di Coe mostrano una grande attenzione verso la realtà sociale della Gran Bretagna «In realtà i miei libri iniziano sempre con la situazione di un individuo, o di un gruppo come nella “Banda dei brocchi”. Poi i destini di queste persone sono visti all’interno della realtà sociale e politica britannica». Ma è solo un punto di vista, Coe non si sente uno storico. «Questo tipo di definizione è limitante, costrittiva. Soprattutto nella “Casa del sonno”, che continuo a ritenere il mio libro più importante, e anche in “Maxwell Sim”, si raccontano esperienze molto interiori, molto emotive. Chi cercasse la storia della Gran Bretagna in questi libri rimarrebbe deluso, perché ci trova ben altre cose».
C’è molto altro, infatti. Accanto alla precisione del contesto e alla magistrale introspezione dei personaggi, non mancano sorprendenti toni grotteschi. «Ho sempre avuto un debole per la letteratura grottesca, perché trovo che sia un modo per avvicinarsi alla realtà, che spesso ha questi risvolti». Coe propone un’altra parola per descrivere questa caratteristica: assurdo. «In Inghilterra abbiamo una lunga tradizione di letteratura dell’assurdo, per esempio “Alice nel paese delle meraviglie”. Anche se non ha avuto un diretto influsso nella mia scrittura, è una potente influenza indiretta». Un altra ascendenza per il suo ultimo romanzo? «Lo scrittore irlandese Flann O’Brien, che nel suo “Il terzo poliziotto” racconta di un uomo innamorato della propria bicicletta, e questo può spiegare in qualche modo anche l’amore di Maxwell per il suo gps».