Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Teatro lirico, o si cambia o si chiude»

Fonte: L'Unione Sarda
5 ottobre 2010

Fondazione. Che cosa c'è dietro lo sciopero indetto dai sindacati che venerdì bloccherà la prima di “La Cenerentola”

Subito una svolta. I manager: facciano un passo indietro
Il soprintendente uscente Maurizio Pietrantonio non esclude l'ipotesi: «Se i sindacati non accettano nuove regole del lavoro il commissariamento non è un'ipotesi astratta».
«Vede, c'è un piccolo problema: se qui non si interviene subito questo teatro rischia di chiudere. E non lo dico per scherzo». Roberto Camarra, segretario della Slc-Cgil, parla di Cagliari pensando al Carlo Felice di Genova, 12 milioni di passivo, 329 dipendenti a un passo dalla cassa integrazione e poche possibilità di evitare la chiusura definitiva del sipario.
Eppure al Lirico di Cagliari la situazione è totalmente diversa: dopo aver chiuso sei bilanci in pareggio, dal 2004 al 2006, al momento la prospettiva è di terminare il 2010 con un rosso di 1,8 milioni (su un bilancio di 31) perché a fine luglio, a stagione programmata, il ministero della Cultura ha inopinatamente tagliato 2,6 milioni del Fondo unico dello spettacolo, una delle entrate considerate certe.
PIÙ SPETTACOLI Un imprevisto. E allora perché i sindacati hanno deciso di chiedere la testa della dirigenza e di scioperare venerdì per la prima di “La Cenerentola”, l'opera “monca” (è in forma di concerto proprio per tagliare i costi, soprattutto quelli delle scenografie)?
«Si poteva risparmiare ulteriormente e chiudere in pareggio producendo spettacoli in più e facendo lavorare tutti i precari», spiega Camarra. Ma come: nel mezzo della crisi più dura e con la prospettiva di ulteriori tagli del 30% nei prossimi anni da parte di Stato (che versava 10,6 milioni e li ha ridotti a otto) e Comune (2,4) si chiede l'assunzione di 63 precari che costano mediamente 50 mila euro all'anno a testa?
«I lavoratori non sono il problema, ma la soluzione», risponde Camarra. «Lo so che sembra paradossale, ma utilizzando il nostro personale anziché ingaggiare tecnici, parrucchieri, prime parti o direttori d'orchestra costosi, si salverebbe il lavoro dei precari (che costano complessivamente 1,7 milioni all'anno), si otterrebbero più punti validi per il calcolo dei finanziamenti e si accontenterebbero gli abbonati». Come? «Ad esempio con una controprogrammazione, da qui alla fine dell'anno, a basso costo e ad alto gradimento: 38 spettacoli (comprese due opere: Così fan tutte e Le Nozze di Figaro) anziché i 23 previsti con un costo complessivo di meno di 400 mila euro».
UN'UTOPIA Per la dirigenza del teatro è un'utopia: «Le nozze con i fichi secchi non si possono fare», attacca il direttore amministrativo Vincenzo Caldo. Uno di quelli - gli altri sono il soprintendente Maurizio Pietrantonio, e il direttore artistico Massimo Biscardi - a cui i sindacati chiedono di andare a casa.
Ma la ragione per cui secondo Cgil, Cisl, Uil, Snater e Css i dirigenti sono «inadeguati» è soprattutto un'altra: «In sei anni non sono stati capaci di erodere il debito patrimoniale». Una voragine che, pur ridotta nell'ultimo anno del 2,6%, come ha certificato la Corte dei Conti nell'ultima relazione sullo stato delle Fondazioni liriche, resta ancora consistente: 18,6 milioni di euro di cui 10,5 di debito a breve e 6,5 a lungo termine verso le banche, un milione verso i fornitori, circa 500 mila verso gli istituti di previdenza. «Ecco, con questi dati si va dritti al commissariamento», attacca Annalisa Pittiu, corista e leader della Fistel-Cisl.
IL RAFFRONTO Ecco perché i sindacati azzardano il paragone con Genova. Una boutade? No, se è vero che nei giorni scorsi anche Pietrantonio si è spinto su un terreno nuovo: «Se i dipendenti non accettano nuove regole del lavoro il commissariamento non è un'ipotesi astratta».
Insomma, i vertici del teatro accusano i sindacati, chiedendo «senso di responsabilità» (lo ha fatto anche il sindaco in qualità di presidente della Fondazione), loro replicano accusando la dirigenza della Fondazione di incapacità di gestire questa fase. Marco Mereu, segretario aziendale della Slc-Cgil, mostra uno studio che raffronta i dati del teatro cagliaritano con quello di Trieste, simili per dimensioni aziendali, bacino d'utenza ed entrambi con sede in una regione a Statuto speciale. Con quattro milioni di finanziamenti in meno (Cagliari ha complessivamente 23,9 milioni e Trieste 19,8) e 70 dipendenti in più producono 10 titoli con sette recite ciascuno comprese tre recite nel territorio regionale, che al Lirico mancano da anni. «Invece noi, che siamo un teatro lirico, tagliamo proprio sulla lirica, che poi è il settore che garantisce più punti per il Fondo unico per lo spettacolo e quindi più soldi. Che senso ha?».
«SFORZO DI FANTASIA» Al management attuale mancherebbe anche fantasia, capacità di pianificazione e di guardare oltre il «solito recinto». «Ci si potrebbe sforzare e cercare direttori o registi emergenti, evitare di passare, chissà perché, sempre per le agenzie che trattengono percentuali importanti», spiega Cristiano Barrovecchio, che rappresenta lo Snater, il sindacato degli orchestrali. «Insomma, nel pieno spirito della legge Bondi, si potrebbe risparmiare facendo una programmazione di alto livello con un cast meno caro. Ma si rende conto che siamo diventati un teatro sinfonico con qualche titolo di lirica?».
Per dimostrare che fare diversamente si può, i sindacati hanno predisposto un piano a breve termine e un programma triennale dettagliato che prevede l'utilizzo delle maestranze (dalle sarte agli scenografi) anche fuori dal teatro. «Volevamo sottoporlo ai dirigenti, ma non ci hanno mai ascoltato», spiega Pittiu. Caldo dice di non averlo mai ricevuto.
I SACRIFICI E i vertici del teatro? Hanno chiesto agli artisti un sacrificio sui cachet, e in qualche caso l'hanno ottenuto, hanno annunciato che se confermati si ridurranno ulteriormente lo stipendio del 20%, hanno aumentato il costo dei biglietti, che da qualche settimana vengono venduti al Box office (contratto in scadenza a fine anno, risparmio annunciato di 205 mila euro), lavorano per recuperare contributi perduti, come dice Pietrantonio, anche se Caldo annuncia per i prossimi anni ulteriori tagli per oltre tre milioni e mezzo di euro. Ma soprattutto chiedono sacrifici al personale: «Occorre uscire dalle ingessature delle attuali regole del lavoro, come suggerito dal ministro Bondi e introdurre la plurimansionalità», spiega Maurizio Pietrantonio, che ambisce a una riconferma.
IL SOPRINTENDENTE I sindacati ne chiedono la cacciata. «Non è in grado di dare un futuro a questo teatro». Lui replica: «Siamo tra le poche Fondazioni ad aver garantito bilanci sempre in pareggio, questo è ciò che conta». Per tutte queste ragioni l'8 ottobre, venerdì, non ci sarà la prima di “La Cenerentola”. Sarà sciopero. Contro una dirigenza che non c'è più.
FABIO MANCA

05/10/2010