il confronto Respinta l'impostazione leghista
Il federalismo fiscale può essere un'opportunità: anche per il Sud e per la Sardegna. Ma il rischio è che l'attuazione concreta (con i decreti che saranno emanati in attuazione della legge quadro) tradisca i princìpi di una reale autonomia finanziaria di regioni ed enti locali, e gli obiettivi di riequilibrio tra aree del Paese. È il senso del dibattito che si è svolto ieri sera alla Festa democratica.
LE ACCUSE L'allarme è arrivato dal vicepresidente della commissione bicamerale sul federalismo, Marco Causi, e dal consigliere del Cnel Giorgio Macciotta («il Parlamento doveva vigilare e interloquire sull'attuazione della legge, ma è stato totalmente scavalcato»). Il deputato Giulio Calvisi ha ricordato che «i litorali, con la sdemanializzazione, diventano proprietà delle regioni ordinarie: in Sardegna restano dello Stato». Eppure la Regione, prosegue Calvisi, non fa sentire la sua voce.
E invece «quella del federalismo è una partita da giocare tutta», ha detto l'ex governatore toscano Claudio Martini. «Questa non è una crisi ordinaria come quelle del '900», ha avvertito Graziano Milia, presidente della Provincia di Cagliari, «bisogna ripartire dalle autonomie locali». L'ex presidente della Regione Renato Soru ha rivendicato l'azione della propria Giunta: «Con la Dirindin abbiamo ridotto dal 17 al 13 per cento la spesa farmaceutica. E abbiamo provato a dire che se arriva uno yacht da 60 metri può pagare un tributo alla Regione». Poi ha contestato Tremonti («dice che al Sud si spendono male le risorse, per giustificare i tagli»), e ribadito la propria idea di un deciso autogoverno per l'Isola: «La principale competenza dello Stato in Sardegna è la scuola, guardate cosa ne hanno fatto».
LA MOZIONE Di scuola parlano anche, in una nota diffusa ieri, i consiglieri regionali del Pd Mario Bruno e Francesca Barracciu, preannunciando una mozione urgente per «inchiodare la Giunta alle sue responsabilità»: davanti al taglio di mille docenti, scrivono infatti i due, «l'esecutivo non ha mosso un dito: non sa o non vuole difendere la scuola pubblica».