Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Vele, tonni e scimitarre

Fonte: La Nuova Sardegna
13 luglio 2010



Le avventure di Salgari nel Mar di Sardegna



Lo scrittore veronese sognava di viaggiare per il mondo non riuscendovi si affidò alla sua fervida fantasia

GIANNI OLLA

Herman Melville cercò inutilmente di riscattare la propria vita avventurosa, che pure gli aveva procurato successi editoriali e cospicui introiti, attraverso la tentazione filosofica. Ne fu sconfitto, come il suo personaggio più tragico: Bartleby. Joseph Conrad, con “Lord Jim”, confessò di non poter essere un eroe ottocentesco, e così i suoi romanzi d’avventura diventarono una sorta di autobiografia esistenziale.
A prescindere da qualsiasi confronto con i due mostri sacri, al nostro Emilio Salgàri andò certamente peggio. Lo scrittore veronese, di cui nel 2011 ricorreranno i 100 anni dalla morte precoce - per suicidio, follia e debiti - a soli 49 anni, sognò, come appunto il Jim di Conrad, di imbarcarsi e girare il mondo. Non riuscì neanche a diventare capitano di lungo corso e navigò per soli tre mesi, su un mercantile, in Adriatico. Così, tornato letteralmente con i piedi per terra, cercò i luoghi dei suoi sogni nei libri di storia e di viaggio e vi abitò per tutta la vita. L’immersione fu talmente coinvolgente che persino il suicidio diventò una scena romanzesca: fece hara-kiri, ma non avendo a disposizione il pugnale dei samurai, usò un banale rasoio.
La vita totalmente fantastica si riconosce anche nella bella mostra organizzata dall’Assessorato alla cultura del Comune di Cagliari (la lista degli altri sponsor è lunga: Regione, Parco Geominerario, Museo comunale di Gonnostramatza, Thorn & Sun) e allestita nelle sale dell’ex Lazzaretto, presso il vecchio borgo di S.Elia. Il titolo è «Vele, tonni e scimitarre. Avventure salgariane nel Mar di Sardegna». Sarà a Cagliari fino a dicembre, per poi essere riallestita a Carloforte.
Il percorso espositivo trae spunto da due opere minori dello scrittore veronese/torinese: il racconto «La pesca dei tonni», scritto nel 1904, e il romanzo d’avventure «Le pantere di Algeri», edito una prima volta nel 1903 e poi ripubblicato, con sempre nuove illustrazioni, fino a diventare, nel 1940, un vero e proprio fumetto. Alcune di queste straordinarie edizioni campeggiano appunto nella mostra.
La definizione di “minore” è ovviamente relativa: il Mediterraneo delle battaglie tra i Cavalieri di Malta e i pirati - o anche le tonnare di Carloforte che Salgàri ambienta però ad Alghero - non sono conosciute dai lettori salgariani come i grandi cicli: Il corsaro nero, i Pirati della Malesia, L’India, il West, e tutto ciò prima dell’invenzione del cinematografo. Ma soprattutto, nonostante la sua grandissima popolarità, tutto sembra piacevolmente minore, quasi infantile, in Salgari, fortemente legato all’immaginario di una nazione senza conquiste d’oltremare (cosa sarebbe il grande esotismo letterario senza gli imperi coloniali inglesi e francesi?) e costretta a sognare le avventure degli altri. Così attraverso reperti museali (quadri, oggetti, armi), ricostruzioni di tipici scenari avventurosi a metà strada tra teatro e cinema (i modelli delle torri costiere sarde), frammenti di pellicole d’epoca (i film tratti da Salgari sono quasi tutti italiani: Soldati e Sollima ne furono gli autori più originali), illustrazioni, didascalie (e non manca il celebre incipit «Era una notte splendente...»), si snoda un percorso che ci invita ad immaginare un passato avventuroso anche nel luogo in cui è ospitata. Poche centinaia di metri, verso est, sorge, infatti, una torre d’avvistamento anti saracena, e verso ovest la Basilica di Bonaria è una sorta di costante preghiera che avrebbe dovuto tenere lontani i pirati. Ancora, il Lazzaretto evoca le lunghe quarantene a cui erano costretti i marinai, quando le navi a vela esibivano, entrando in porto, la bandiera gialla che annunciava qualche malattia tropicale scoppiata a bordo.
Infine, la Sardegna e l’intero Mediterraneo sceneggiati dalla mostra non devono niente all’antropologia minima dei viaggiatori otto/novecenteschi che l’esotismo lo trovavano già bello e pronto nell’autentica «wilderness» sarda di pastori e banditi. Magari non è pura invenzione letteraria, visto che Salgari, per «La pesca dei tonni», si documentò dai mercanti genovesi, ma certo l’illustrazione del racconto, con il sardo in berritta, costume nero e gambali, che annuncia la prossima uscita in mare, fa un po’ sorridere, vista la lunga tradizione che separava drasticamente l’interno della Sardegna dalle zone costiere, spesso definite dagli intellettuali come «non sarde».
Si potrebbe scrivere, dunque, che questo originale ipertesto recupera Salgari - o una parte di esso - nell’unico modo possibile: l’installazione multimediale all’insegna del post moderno. Difatti, il romanzo popolare e, successivamente, il cinematografo, hanno cancellato da tempo molti dei generi che hanno fatto grande l’Ottocento e il Novecento, in primo luogo l’avventura esotica. Ma forse non si è trattato di una vera sparizione, ma piuttosto di un adattamento. In termini letterari, il parente più prossimo di Salgàri è stato Gian Luigi Bonelli, che inventò il west di Tex Willer sulle carte geografiche e sulle «dime novels», senza essersi mai mosso da Milano. Quanto al cinema, Salgari si potrebbe rifare se avessimo produzioni all’altezza della serie «I pirati dei Caraibi», portato al successo da Johnny Depp. Non è Salgari, ma gli assomiglia.