Una pièce e una tavola rotonda a Cagliari: ecco il dono di Francesca Falchi alla vittima e testimone della Shoah
«Io credo che dalla vita si possa ricavare qualcosa di positivo in tutte le circostanze, ma che si abbia il diritto di affermarlo solo se personalmente non si sfugge alle circostanze peggiori» (E.H.).
Ha tagliato i capelli cortissimi, per immedesimarsi nella protagonista della sua pièce. Ma Francesca Falchi (che per la verità somiglia più a Irene Nemirovsky che a Etty Hillesum) non ha bisogno di una identificazione fisica per entrare nelle corde di un personaggio che le appartiene. Che è suo prima ancora che un giorno liberasse casualmente dal loro «sudario di plastica» i Diari e poi le Lettere , di questa straordinaria ebrea olandese di madre russa morta ad Auschwitz a 29 anni, nel 1943. Giacevano da almeno cinque anni nella libreria quando li scoperse. Non li ha più lasciati. E la passione di una donna «vorace di tutto» è diventata la sua.
È nato così, da questo vortice di emozioni, un testo teatrale di 132 pagine che la Falchi, attrice e autrice di grande intelligenza, ha poi ridotto, trasformandolo in un racconto per immagini metaforiche presentato ieri sera al Civico di Cagliari. Prima nazionale di Fueddu e Gestu, Il lupo e il cielo spinato si avvale della regia di Giampietro Orrù. Installazioni di Fabiola Ledda, costumi di Edith Maria Delle Monache, musiche originali di Ennio Atzeni.
La favola nera di Esther H questo il sottotitolo del lavoro, è stata anticipata ieri da una lunga mattinata, promossa dall'associazione culturale L'eccezione, che ha riunito un pubblico attento nella Sala Settecentesca della Biblioteca Universitaria di Cagliari, così piena di luce e di libri preziosi, proprio di fronte al Civico. Aperta dall'intervento di Ester Gessa, direttrice della Biblioteca, che ha evidenziato la dimensione più intima e religiosa della Hillesum, proseguita coi saluti di Ada Lai, («le donne cambiano il mondo»), la tavola rotonda “Un giglio nel campo” ha visto sette interventi più uno (quello della Falchi) e si è chiusa con un documentario Rai di otto anni fa, firmato da Elena Beccalli e Flora Cassella.
FRAGILE E FORTE Un compito appassionante, riscoprire il mondo di Etty. Raccontare - stimolati dalla giornalista Anna Laura Pau - «il senso della vita e dell'umanità di una donna che dialoga con Dio e sceglie per sé il destino del suo popolo». Una figura complessa, fragile e forte, in conflitto con la madre, soggetta a costipazione dell'anima (così Etty chiamava la sua depressione), anticipatrice di temi di grande attualità. Ponte verso le donne europee, esempio di resistenza esistenziale - ha detto la storica torinese Mariella Filippa. Quella che fu anche di Edith Stein e di Milena Jesenská (a Praga osò sfidare i nazisti, lei non ebrea, indossando la stella di Davide).
È proprio la resistenza esistenziale la cifra di Etty intorno alla quale ruotano gli interventi. La sua accettazione dei gelsomini profumati e delle vesciche ai piedi. Ma anche il suo rifiuto dell'ovvio come malattia dell'anima, l'autoriconoscersi come «cuore pensante» della baracca nella quale si trova a vivere, a Westerbork. A un'altra donna, Nadia Neri, psicologa analista, il compito di sottolineare il percorso psicologico e spirituale di Etty, il senso della responsabilità individuale, mutuato da Jung («guardare il male dentro di sé e non solo fuori»), la grande apertura culturale. E poi l'amore per Rilke (“pazienza è tutto” era il suo motto), i testi delle religioni monoteiste, l' antroposofia steineriana. Interessi e amori che hanno il nome di Julius Spier, amante, amico, pigmalione.
DISSEPPELLIRE DIO Nadia Neri ha scritto un libro speciale, oggi introvabile, su “Etty Hillesum testimone e vittima del Lager”. Si intitola Un'estrema compassione (Bruno Mondadori) e non trascura nessun aspetto della personalità di questa donna capace, in un momento estremo, d'intraprendere un cammino spirituale che la porta a scoprire nel talento umano un riverbero divino. Disseppellire Dio è il suo intento. Un Dio non confessionale, nascosto in ogni essere umano, fatto a sua immagine e somiglianza. Un Dio che ha bisogno del sostegno dell'uomo: «Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me». Compito che fino alla fine, nel settembre 1943, prima di partire per Auschwitz dove morirà quasi subito, a 29 anni, Etty Hillesum assolverà con grande fede. È la fine del mondo, quella che la vede morire, e con lei la sua famiglia e il suo popolo, e alla fine del mondo c'è lui. «Siamo rimasti soli, io e Dio».
VIVIAMO SE BRUCIAMO Tema affascinante, questo della ricerca di Dio (e di sé) in Etty, che due dei relatori trattano con particolare cura. Paolo Matta, giornalista, distingue tra preghiere e preghiera, devozionismo e abbandono filiale. Padre Enrico Deidda, gesuita, cita Eliot: “Noi viviamo, noi respiriamo soltanto se bruciamo” e con Eliot un pensiero di Hillesum del 12 ottobre '42. «Ho spezzato il mio corpo come fosse pane e l'ho distribuito agli uomini».
Sono appassionati anche gli ultimi interventi (quello di Flora Cassella, che propone il bel documentario del 2002, con molte suggestioni di Erri De Luca), quello di Clara Spada, scrittrice («la mia amica Etty, così originale, così controcorrente»). Più razionale e circostanziata la relazione dell'editore olandese Gerrit Van Oord. Ricostruisce la fortuna della Hillesum in Olanda (cinque edizioni della integrale delle sue opere), fa riferimento all' Italia, (dove il materiale tradotto è solo il 18 per cento), ricorda che nel dicembre del 2013 scadranno i diritti e Adelphi potrà pubblicare l'integrale («oggi l'edizione migliore è la francese»), ripercorre il legame della Hillesum con Julius Spier, («non mi piaceva, ho cambiato idea»), sottolinea l'eccessivo accento nella traduzione italiana del cammino di Etty verso Dio. Soprattutto tiene a precisare che Auschwitz non fu, come qualcuno afferma, una scelta per la Hillesum. «Lei voleva vivere, non morire».
MARIA PAOLA MASALA
13/06/2010