Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Nelle architetture di Pier'Alli c'è tutto il rigore dei Puritani

Fonte: L'Unione Sarda
1 giugno 2010

Lirica. L'ultimo capolavoro di Bellini mancava da Cagliari (Teatro Civico) dall'ottobre del 1882

Grandissima protagonista al Lirico Mariella Devia, John Osborn è Arturo
Colori freddi, quasi lividi, alternati a sprazzi di luce, e un rigore geometrico estremo, giocato sulle simmetrie, il fascino del doppio, l'essenzialità. Quella che l'architetto fiorentino Pierluigi Pieralli - il regista scenografo costumista Pier'Alli - porta da sempre in scena. Stavolta la mette a servizio dei Puritani , di questo allestimento dell'ultimo capolavoro di Vincenzo Bellini prodotto dal Lirico di Cagliari col Comunale di Bologna e il Massimo di Palermo. Da Cagliari mancava dall'ottobre del 1882: Garibaldi era morto da quattro mesi, questo giornale sarebbe nato solo sette anni più tardi. Centoventotto anni. Troppi, anche per un'opera così difficile, così avara di rappresentazioni, così preziosa.
Ieri il pubblico della prima, mai troppo espansivo, l'ha accolta dapprima con timidezza poi con un calore sempre più evidente. Un tributo alla musica del grande compositore catanese e su tutti alla grandezza di Mariella Devìa, insuperabile protagonista. Se a Bologna - con questo stesso allestimento - fu Juan Diego Florez a catalizzare l'attenzione sul suo Arturo, e a Palermo la giovane Desirée Rancatore, qui a svettare è stata la soprano ligure, indiscussa regina del belcanto. Lei a dar corpo e anima a Elvira. Sempre lei a dar vita durante il primo atto - con un colpo di teatro peraltro già apprezzato dal caldissimo pubblico della prova generale - a una sobria quanto coraggiosa difesa dei teatri lirici italiani minacciati dai tagli.
Al centro del palcoscenico, prima della scena della festa per le nozze imminenti con Arturo, la cantante si rivolge al pubblico: E se questo sipario non dovesse alzarsi mai più? . (E una voce fuori campo aggiunge: I lavoratori del Teatro Lirico di Cagliari contro il decreto Bondi). Sommergono l'iniziativa i battimani di molti (ma sono in tantissimi a non applaudire). Sommergeranno la Devia, durante la rappresentazione, gli applausi dell'intero teatro, stregato dall'eleganza adamantina della sua voce, dalla sua presenza scenica, dalla assoluta credibilità del ruolo. Lei che avendo una figlia di 38 anni canta - e nessuno sorride - la cabaletta di Elvira Son vergin vezzosa . Perfetta. Inarrivabile. Al suo fianco il giovane tenore statunitense John Osborn è Arturo. Alla fine dell'opera (oltre tre ore di rappresentazione) gli applausi coinvolgono tutti i protagonisti. Con Devia e Osborn, Mattia Denti (Lord Gualtiero Valton); Rossana Rinaldi (Enrichetta di Francia), Riccardo Zanellato (Sir Giorgio); Luca Salsi (Sir Riccardo Forth); Gianluca Floris (Sir Bruno Robertson): questi ultimi tre protagonisti al recente Maifestspiel di Wiesbaden - con la Rancatore e Francesco Demuro - della Lucia di Krief allestita dal Lirico, ripresa da Antonio Petris e diretta da Stefano Ranzani.
Il coro era preparato da Fulvio Fogliazza, l'orchestra diretta dal trentenne valenciano Ramon Tebar, per la prima volta a Cagliari.
IL REGISTA Per la prima volta in città anche Pier'Alli, poliedrico artista fiorentino che firma regia, scene, costumi e luci. Assistito da Giovanna Maresta, Manuela Gasperoni e Andrea Oliva, racconta questa storia di amore e di guerra (la guerra civile tra Parlamentaristi e Realisti, Puritani e Cavalieri, quella che grazie a Oliver Cromwell farà provare all'Inghilterra del Seicento il brivido fuggente di un governo repubblicano). In scena utilizza un contenitore unico, una sorta di torre, con elementi variabili e alcuni simboli forti. Come le cinque spade alte nove metri che dominano il primo atto, simili «a colonne doriche di quel gusto neoclassico che è tipico del mondo belliniano». Come quel velo bianco che racconta la purezza, la fiducia, l'amore di Elvira e poi, nella scena della follia della giovane, fluttua fra le spade. «È l'amore che si impiglia nella guerra», spiega lo stesso regista, «è il simbolo del tormento per le nozze e per il sogno d'amore infranto».
LA MESSINSCENA Geometrica, rigorosa, speculare. E piena di emozioni. Quelle che vengono da Bellini, e che la regia rarefatta di Pier'Alli esalta anziché frenare. Del resto non c'è nulla di superfluo in questa messinscena totalmente al servizio della musica, così impervia, così commovente e coinvolgente. Nulla che non abbia un significato preciso: come la scena della pazzia dell'atto secondo, (16 minuti di rara bellezza accolti, finalmente, da un tifo all'altezza della serata), quando le simmetrie architettoniche care a Pier'Alli, i suoi rassicuranti angoli retti, lasciano spazio a linee sghembe e stravolte. Come stravolta e sghemba è la mente di Elvira, convinta che il suo Arturo (scappato con la regina Enrichetta per strapparla alla morte) l'abbia tradita. Sarà un cielo pieno di luce, alla fine, a spazzare i toni cupi e a regalare il lieto fine a questa vicenda così complicata, a questa trama forse un po' pasticciata.
I PROTAGONISTI Ma che importa? A dettar legge è la musica, non la veridicità della storia che si racconta. Una storia fatta, alla fine, di personaggi positivi: appassionata è Elvira, mesta e lieta nella sua follia, coraggioso il monarchico Arturo, diviso tra patria e amore, magnanimi sono gli altri protagonisti maschili. Seguaci di Cromvello , nemici dello strapotere monarchico, ufficiali e gentiluomini tutti: tenori, baritoni e bassi. E non è poco. Nel gennaio del 1835, anno in cui il canto del cigno del trentaquattrenne Bellini, cavaliere della Legion d'onore, incantò Parigi, tutto questo per molti significava voglia di libertà.
MARIA PAOLA MASALA

01/06/2010