Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

E in scena duplica Shylock

Fonte: L'Unione Sarda
3 maggio 2010

Lo spettacolo fino a domani al Massimo, 3 e 4 maggio a Sassari


Doveva chiamarsi “Prove di sopravvivenza: estasi di una libbra di carne” ma poi, considerato il riferimento a Shakespeare, è diventato “Shylock: il Mercante di Venezia in prova” ed è rappresentato al Massimo di Cagliari fino a domani e il 3 e 4 maggio al Verdi di Sassari. Shylock è Shylock, ebreo adunco inviso al mondo quasi per destino. Ma oltre che lo stereotipo («L'ebreo è una persona che altri considerano ebreo» diceva Sartre) è anche un doppio. Non nel senso degli equivoci di una commedia quanto nella fungibilità e nello switch del ruolo. Il regista-intellettuale (Moni Ovadia) bloccato da 10 anni in un teatro che è diventato questione di vil danaro o, peggio, di baratto diventa “anche” Shylock nei continui interventi delle prove di allestimento dell'opera. Vorrebbe essere il deus ex machina e invece è anello di un meccanismo che lo fagocita. È il personaggio idealista ai limiti dell'ingenuità che mal comprende i tranelli dell'impresario/gangster/finanziere.
Shylock è condannato e cacciato da una Venezia ipertestuale tutta da immaginare così come il “maestro” regista Ovadia è cacciato da un mondo (quello del teatro) che non lo riconosce più, superato com'è da esigenze mercantili, mercatare o marchettare. Uno spettacolo “curioso” lo definisce Ovadia e lo è senz'altro. Il testo Shakesperiano è solo un elemento della scena e torna prepotente, e in forme diverse, nel monologo dell'ebreo (“L'ebreo non ha forse occhi? Non ha mani... sensi, passioni?”) recitato anche nella variante nazista da Hitler: proiettato sullo sfondo come serigrafie multiple di Warhol. Perché l'umanità è unica, anche quella peggiore, ed ha un solo destino: o si salva tutta e si perde tutta. La scena è lacerata, frammentata da intermezzi musicali, da un gong, dagli interventi del regista. Non c'è un ritmo vero, né una trama tradizionale e l'effetto è talvolta straniante se non disturbante: meriterebbe un libretto di sala. Ma è il teatro che racconta se stesso o, forse è la vita moderna, compromissoria e disillusa, feroce e borderline che irrompe nel teatro. Alla fine Shylock/Shapiro/Ovadia si riscatta in una risata: c'è ancora una speranza. ( g.ca. )

01/05/2010