Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Cultura e accoglienza: il segreto di Marina

Fonte: L'Unione Sarda
7 aprile 2010

Ma ci sono anche lamentele da parte dei residenti e dei commercianti: la ztl non piace a tutti

Mario Cugusi: «Il quartiere è rinato grazie all'arrivo degli stranieri»

La criminalità? È quasi scomparsa: ci sono solo piccoli spacciatori che vengono “tenuti d'occhio” dagli abitanti.
«Ormai siamo diventati noi gli extracomunitari». Si lamenta Ercole Floris, storico barbiere della Marina: secondo lui, il quartiere ha perso la sua cagliaritanità . «È in mano agli stranieri», afferma. E chiude con un quasi scontato: «Si stava meglio quando si stava peggio». Magari chi decide di tagliarsi i capelli da lui, può farsi un'idea sbagliata della Marina. Perché la voce di Floris sembra rappresentare una stonatura rispetto al sentire comune. «Un quartiere bello, pulito, con bella gente di tutte le razze», è la risposta, indiretta, che arriva da Daniele Castaldi, il comico, culu infustu (sedere bagnato, il nomignolo che spetta agli abitanti della Marina) doc, diventato famoso grazie ai Lapola.
L'ACCOGLIENZA Non è l'unico a pensarla in questo modo. «Gli extracomunitari hanno salvato la Marina: l'accoglienza sta pagando anche dal punto di vista commerciale», sostiene Mario Cugusi, lo storico parroco della chiesa di Sant'Eulalia. Lo dice proprio mentre stanno lasciando il campetto di basket due ragazzini, uno dai tratti somatici africani, l'altro di origini cinesi. Ragazzi che sembrano perfettamente integrati. Al punto che, per dare una risposta affermativa dicono eia , non sì. Nel quartiere si susseguono le attività commerciali di stranieri, dai bazar con bigotteria ai fast food tipici (non si contano più i venditori di kebab), ai fornitori di servizi (trasferimenti di denaro, internet point e centralini). Un melting pot dove le etnie straniere si mescolano tra di loro e con la popolazione locale. Un quadro troppo idilliaco? «Non me ne andrei mai. Siamo in pieno centro ma c'è l'atmosfera del paese dove ci si conosce tutti», sostiene Italo Pau, residente ma anche operatore commerciale (gestisce il ristorante Ampurias di piazza Savoia).
LA CULTURA Un crogiolo di culture differenti. Che hanno finito con il dare un'altra caratteristica, positiva: la Marina è diventato il polo culturale della città. C'è Marina Caffè Noir, le iniziative dell'ostello della gioventù e dei locali di piazza Savoia, i concerti nelle chiese, il teatro del Crogiuolo. «Ma forse», riprende Mario Cugusi, «a dare un impulso decisivo è il polo museale che, con i suoi 900 metri quadri, rappresenta l'area archeologica urbana più grande della Sardegna». Un museo che rappresenta un esempio. «Siamo quasi arrivati», afferma orgoglioso Cugusi, «all'autosufficienza: con cinque, seimila biglietti l'anno quasi ci sosteniamo da soli». E qualcuno provi a dire che la cultura non paga.
IL TRAFFICO Un entusiasmo contagioso quello di Cugusi. Ma non mancano le lamentele. I residenti non amano le restrizioni al traffico e il fatto di non poter parcheggiare l'auto sotto casa. Non solo loro si lamentano, a dire il vero. «È come se uno si mettesse prima i pantaloni e poi le mutande»: la metafora non è casuale. Arriva da Riccardo Sanna, il gestore del Sixtynine, il pornoshop di via Baylle. «Prima di creare limitazioni, si dovevano realizzare parcheggi. La paura delle telecamere mi ha fatto perdere tanti clienti». La gente di passaggio, i turisti? «I croceristi sono, mediamente, vecchi: non comprano da me. E neanche negli altri negozi». È davvero così? «La pedonalizzazione è fantastica: il quartiere, già bello di suo, è ancora più vivibile», risponde Raimondo Carboni, proprietario del Caffè Savoia.
IL COMMERCIO A penalizzare i commercianti potrebbero non essere le chiusure al traffico ma i limiti stessi degli operatori. «A Pasquetta», racconta Fausto Porcu, titolare dell'outlet Charlot in via Dettori, «ho deciso di aprire per venire incontro a quelle persone che avevano deciso di fare una passeggiata al centro. Tutto sommato, a me non è andata male. Il fatto è che tutti gli altri negozi erano chiusi». Le cose, anche da questo punto di vista, stanno cambiando. «Nonostante sia andata in pensione, ho deciso di dare una mano a mia figlia», dice Franca Cherchi, nel negozio di souvenir di via Sardegna. «Siamo qui solo da due anni ma le cose vanno già abbastanza bene: noi cerchiamo in tutti i modi di venire incontro ai clienti. Dalla prossima settimana, apriremo con orario non stop». Ma in tanti continuano a lavorare negli orari canonici anziché in quelli che potrebbero essere più redditizi. «Non riesco a capire», interviene Stefano Pezzorgna, il gelataio («Lavoro solo con prodotti biologici e del commercio equo solidale») bolognese di via Dettori, «perché d'estate i negozi siano aperti nel pomeriggio quando la gente è al mare e restino chiusi in serata». Lui va controcorrente. «Forse, per gestire un quartiere dalle infinite potenzialità come questo, servirebbe un manager con la mentalità romagnola», conclude.
LA DELINQUENZA Lamentele sul traffico, sugli scarsi affari. E qualche residente, protetto dall'anonimato, parla anche di microcriminalità. «Ma, forse», riprende Mario Cugusi, «qualcuno dimentica che vent'anni fa lo scippo, spesso con gravi conseguenze fisiche, era all'ordine del giorno». Adesso, qualche extracomunitario tenta la strada del piccolo spaccio di droga. Ma deve fermarsi a un certo punto: nessuno lo dice chiaramente ma la verità sta nel fatto che la criminalità autoctona non vuole attirare attenzioni; se qualcuno esagera, viene immediatamente richiamato all'ordine. E il quartiere continua a vivere tranquillo.
MARCELLO COCCO

07/04/2010