Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Franco Graziosi, le origini del teatro

Fonte: L'Unione Sarda
16 marzo 2010




Franco Graziosi è una sorta di memoria storica del teatro italiano del Novecento. È un attore che ha esordito nel '53 con la compagnia del Piccolo Teatro di Milano di Giorgio Strehler a soli 24 anni (lui è classe '29), che nel corso della sua lunga carriera ha partecipato ad oltre cento opere teatrali, ad una novantina di produzioni televisive e anche ad alcuni film per il cinema (come Giù la testa di Sergio Leone e Uomini contro di Francesco Rosi) e che ora - arrivato quasi alla soglia degli ottantuno anni - si gode il meritato riposo pur continuando ad essere coinvolto in spettacoli teatrali, commemorazioni e lezioni di teatro.
Come quella che ha tenuto ieri a Cagliari al teatro Massimo per la prima giornata del ciclo di laboratori intitolato “I Ritorni - Viaggi di formazione”, curato da Guido De Monticelli del Teatro Stabile della Sardegna. Fino a sabato i 20 giovani attori selezionati per i laboratori - e gli stessi membri della compagnia - si confronteranno con un maestro del teatro, tra i più grandi protagonisti del teatro strehleriano e quindi del teatro italiano tout-court. «È bello e simbolico che sia proprio Graziosi ad inaugurare il ciclo di laboratori», spiega De Monticelli, «perché uno dei problemi essenziali nel teatro è quello della catena della sapienza, del mettere a contatto i giovani con le radici antiche di questo mestiere».
E Graziosi lo ha fatto proprio partendo dalle origini. «La mia idea è quella di cercare itinerari teatrali che sappiano di antichità e non di vecchiaia», spiega l'attore maceratese. «Bisogna andare alla ricerca delle radici per restaurare e rinverdire quello che ci sta intorno nel mondo del teatro. Sono assente dai palcoscenici da qualche anno, però da quello che mi viene detto e raccontato non percepisco più grande entusiasmo». Ecco allora quale può essere il senso di mettere a confronto un veterano del teatro con dei ragazzi che cercano di apprendere i rudimenti del mestiere. «Ripartire dalle ragioni che possono dare linfa al teatro, come la poesia».
Una delle peculiarità della concezione di Graziosi è quella che vede la poesia proprio come forma primigenia del teatro, la scintilla originaria che porta all'azione drammatica. «E poi il verso contiene attrezzi che vanno utilizzati nella drammaturgia», spiega. «Nel verso, come nel pentagramma, ci sono ritmi, pause, cesure, accenti, colori. Poesia e musica servono a rivitalizzare un discorso - come quello teatrale odierno - che è scialbo e noioso». Non solo per riscoprire un senso autentico del fare teatro (non a caso Graziosi sottolinea la differenza tra “recitazione” e “rappresentazione”, laddove la recitazione rappresenta il polo negativo: «Con tutto il rispetto, si recita un rosario, non un testo teatrale»), ma anche per rispetto nei confronti degli spettatori. «Il pubblico è interlocutore e protagonista», dice. «L'attore ha il dovere di rivivere ogni sera il testo come se si trattasse di una cosa nuova. Solo così il pubblico sente che può arrivargli qualcosa in grado di toccarlo davvero».
Il centro di tutto il discorso di Graziosi è il rapporto con la parola, nucleo centrale della sua concezione del teatro. Parola che è anche connessa all'azione. Durante la lezione ad esempio ha fatto riferimento alla teoria della mimica nella lezione di Orazio Costa, regista teatrale e grande esperto di pedagogia del teatro. «La parola è al centro dell'azione, il pensiero l'impulso che detta il gesto». A sostegno di questa concezione Graziosi racconta di uno spettacolo di Costa, Il poverello d'Assisi . «Durante lo spettacolo San Francesco viene preso da uno slancio di fervore mistico, da un momento di felicità. Per esprimerlo compie il gesto di suonare un violino che non c'è. In quel gesto c'è l'inesplicabilità della sua fede. Non poteva parlarne, ma sostituiva la parola con un gesto che però, tutto sommato, era della stessa natura della parola».
ANDREA TRAMONTE

16/03/2010