Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

I giudici: al Poetto la sabbia sbagliata

Fonte: L'Unione Sarda
8 marzo 2010

Ripascimento. Pubblicate le motivazioni della sentenza del processo di secondo grado

«Inconsistente la tesi difensiva». Ma il reato è prescritto

Tra gli imputati l'ex assessore ai Lavori pubblici Renzo Zirone e il direttore dei lavori Salvatore Pistis.
La premessa: «Una volta per tutte bisogna sfatare la tesi difensiva secondo cui il ripascimento consisteva in una mera opera di protezione civile. Il Poetto non era un antico ricordo, il restringimento del litorale era accentuato solo alla prima fermata, la spiaggia originaria era ancora presente nel tratto restante e caratterizzata da una sabbia finissima e bianca».
Nelle motivazioni della sentenza che il 22 dicembre scorso ha dichiarato, a sette anni e mezzo dai fatti, la prescrizione dei reati contestati all'ex assessore provinciale ai Lavori pubblici Renzo Zirone, ai componenti della commissione di monitoraggio Andrea Atzeni, Paolo Orrù e Giovanni Serra, al direttore dei lavori Salvatore Pistis, al dirigente della Provincia Andrea Gardu, al coordinatore del progetto Lorenzo Mulas, al legale rappresentante dell'associazione di imprese che ha eseguito i lavori Piergiorgio Baita, la Corte d'appello (presidente Michele Iacono, estensore Maria Sechi) mette un punto fermo: bisognava restituire una spiaggia simile a quella originaria. Così era stato deciso, così prevedeva il progetto nell'introdurre la gradualità dei lavori su un bene ambientale unico, due anni e controlli continui per correggere il tiro in caso di necessità. Altrimenti perché sprecare tutto quel tempo e tutto quel denaro? Perché tutti quegli studi, quelle consulenze, tutte quelle riunioni, conferenze di servizi, discussioni? Invece: «Il contratto non è stato affatto rispettato». Altro che quarzi all'85 per cento e feldspati al 15: la media dei quarzi, che danno il colore alla sabbia, era del 60 per cento. Il che ha comportato pure l'intorbidimento delle acque, «passate da un colore cristallino a un quasi quotidiano color bianco latte».
Senza dimenticare i ciottoli, le pietre, riversate in abbondanza sull'arenile. «La tesi difensiva secondo cui le pietre erano già presenti sull'arenile ed erano affiorate a seguito dei getti della draga sulla spiaggia appare francamente risibile alla luce dei numerosi ordini di servizio della direzione dei lavori che aveva imposto all'impresa sia di rimuovere le pietre dal litorale provvedendo ad accumularle in discarica in modo che, al momento del collaudo, fosse possibile calcolarne l'entità ed effettuare la detrazione del loro valore dal compenso dovuto all'impresa, sia di provvedere a operazioni di grigliatura e pettinatura della sabbia». Tutto questo aveva perfino comportato «uno slittamento in avanti della data di ultimazione dei lavori». Non solo: l'impresa aveva dato disposizioni affinché «il pietrame venisse caricato su una barchetta e ributtato in mare. Il quantitativo di pietre era tale che il peso aveva provocato l'affondamento dell'imbarcazione, ritrovata adagiata sul fondale con tutto il suo carico. In quel modo l'impresa voleva evitare un preciso controllo e il conteggio delle pietre».
Il giudizio della Corte d'appello è tranchant: «Pare francamente incredibile che, mentre gran parte della cittadinanza, degli organi di stampa, degli ambientalisti e degli studiosi che avevano osservato i lavori di ripascimento si erano accorti che la draga stava gettando sulla spiaggia pietre e materiale grossolano, i direttori dei lavori non si erano invece mai avveduti di alcunché». I giudici scrivono di un «grave e irreversibile deterioramento di un tratto di costa che costituiva una tale bellezza naturale da essere assoggettato a vincolo paesaggistico». Ebbene, di fronte a tutto questo, durante il processo è andato in scena il più classico degli scaricabarile: Gardu e Pistis hanno detto che il progetto era mal fatto, Mulas ha sottolineato di essersi occupato esclusivamente delle opere di viabilità, Zirone si è affidato ai tecnici, Baita ha solo firmato il contratto. No: per i giudici, tutti hanno avuto un ruolo diretto e attivo ed erano «perfettamente consapevoli di quel che sarebbe successo».
Quanto a Zirone, «è vero che in generale l'assessore ha un preminente ruolo politico, ma qui Zirone ha preso parte attiva a tutte le fasi del ripascimento, presentandosi come uno dei referenti dell'impresa che gli indirizzava la corrispondenza sull'esecuzione dell'appalto e riceveva risposte sottoscritte anche dallo stesso Zirone». E non vale sostenere, com'è stato fatto, di aver agito così per non perdere i finanziamenti: la verità è che gli imputati hanno perseguito «un loro interesse privato, volevano presentarsi all'opinione pubblica come coloro che avevano salvato il Poetto dal degrado con ciò ottenendo un consenso di immagine e strettamente politico».
La Provincia poi: «In questo processo, come responsabile civile ha sostenuto che il Poetto fosse un ammasso di pietrame e ghiaia e che l'impresa avesse effettuato un ottimo intervento; in sede civile, però, ha chiesto la condanna dell'impresa per il risarcimento dei danni cagionati alla spiaggia proprio in conseguenza delle errate opere di ripascimento».
Tutti colpevoli dunque, o meglio: «Dalle risultanze processuali non emerge in modo evidente l'estraneità degli imputati dai reati di abuso d'ufficio, falso ideologico e danneggiamento». Ma è passato troppo tempo e i reati sono prescritti.
M. F. CH.

06/03/2010