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Cabaret Yiddish di Moni Ovadia e incontro per riflettere sul conflitto in Medio Oriente.

2 dicembre 2014, 18:14
Il 6 e il 7 dicembre (6 ore 21.00 - 7 ore 19.00) al Teatro Massimo

La stagione del Teatro Stabile della Sardegna al Teatro Massimo prosegue con una delle figure più rappresentative della cultura ebraica in Italia. Moni Ovadia attore, drammaturgo, scrittore, compositore e cantante italiano, il 6 e il 7 dicembre (6 ore 21.00 - 7 ore 19.00) ci accompagnerà in un viaggio d’esplorazione nella cultura delle proprie origini. Dopo 20 anni di tournée internazionale ritorna con Cabaret Yiddish, lo spettacolo che ha sancito il suo successo teatrale e musicale e ha diffuso la conoscenza della cultura yiddish e della musica klezmer.

Moni Ovadia è uno dei massimi rappresentanti della cultura italiana che più ha approfondito - tramite il suo lavoro - i temi del conflitto in Medio Oriente.

 

Sabato 6 dicembre alle ore 18.00 in un incontro di avvicinamento ai temi del festival di filosofia 2015, sarà intervistato sull’infinito conflitto da Luca Foschi, giornalista freelance inviato nei paesi di guerra per L'Unione sarda, Corriere della sera, Il Fatto Quotidiano.


Sempre sabato 6 dicembre alle ore 19.00 sarà proiettato il Film Vogliamo vivere, una pungente satira verso il nazismo e le sue barbarie

Sabato 6 dicembre ore 18.00 - INCONTRO - ingresso libero
L'INFINITO CONFLITTO (verso il Festival di filosofia 2015)
Moni Ovadia è uno dei massimi rappresentanti della cultura italiana che più ha approfondito - tramite il suo lavoro - i temi del conflitto tra mondo arabo e palestinese.
In questo incontro aperto al pubblico sarà intervistato da Luca Foschi, inviato nei paesi di guerra per Corriere della sera, Il Fatto Quotidiano, L'Unione sarda.

Sala Minimax 6 dicembre ore 19.00 - FILM - ingresso libero
VOGLIAMO VIVERE (To be or not to be)
di Ernst Lubitch - Usa 1942
Una pungente satira verso il nazismo, i suoi ideali e le sue barbarie

6-7 dicembre 2014 (Sabato, 6 Dicembre, 2014 - 21:00 - Domenica, 7 Dicembre, 2014 - 19:00)
Produzione: Promo Music
CABARET YIDDISH
con Moni Ovadia
violino Maurizio Deho’
clarinetto Paolo Rocca
fisarmonica Albert Florian Mihai
contrabbasso Luca  Garlaschelli
suono Mauro Pagiaro

La lingua, la musica e la cultura Yiddish, quell’inafferrabile miscuglio di tedesco, ebraico, polacco, russo, ucraino e romeno, la condizione universale dell’Ebreo errante, il suo essere senza patria sempre e comunque, sono al centro di “Cabaret Yiddish” spettacolo da camera da cui è poi derivato il più celebre Oylem Goylem.

Si potrebbe dire che lo spettacolo abbia la forma classica del cabaret comunemente inteso. Alterna infatti brani musicali e canti a storielle, aneddoti, citazioni che la comprovata abilità dell’intrattenitore sa rendere gustosamente vivaci. Ma la curiosità dello spettacolo sta nel fatto di essere interamente dedicato a quella parte di cultura ebraica di cui lo Yiddish è la lingua e il Klezmer la musica.

Uno spettacolo che “sa di steppe e di retrobotteghe, di strade e di sinagoghe”. Tutto questo è ciò che Moni Ovadia chiama “il suono dell’esilio, la musica della dispersione”: in una parola della diaspora.

La musica Klezmer deriva dalle parole ebraiche Kley Zemer, che si riferiscono agli strumenti musicali (violino ed archi in genere e clarinetto) con cui si suonava la musica tradizionale degli Ebrei dell’est europeo a partire all’incirca dal XVI secolo.

“Ho scelto di dimenticare la “filologia” per percorrere un’altra possibilità proclamando che questa musica trascende le sue coordinate spazio-temporali “scientificamente determinate” per parlarci delle lontananze dell’uomo, della sua anima ferita, dei suoi sentimenti assoluti, dei suoi rapporti con il mondo naturale e sociale, del suo essere “santo”, della sua possibilità di ergersi di fronte all’universo, debole ma sublime. Gli umili che hanno creato tutto ciò prima di poter diventare uomini liberi, sono stati depredati della loro cultura e trasformati in consumatori inebetiti ma sono comunque riusciti a lasciarci una chance postuma, una musica che si genera laddove la distanza fra cielo e terra ha la consistenza di una sottile membrana imenea che vibrando, magari solo per il tempo di una canzonetta, suggerisce, anche se è andata male, che forse siamo stati messi qui per qualcos’altro.”

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